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Discorso di commiato di Gabriele Gendotti
06.02.2011 14:46:48 Red.
Caro presidente,
cara Laura,
deputate e deputati al Gran Consiglio,
candidate e canditati al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio,
signore e signori rappresentanti dei media e ospiti,
care amiche e cari amici liberali radicali,
mancano poche settimane al 10 aprile e per me è anche tempo di bilanci.
È anche l’occasione per ringraziare anzitutto tutti coloro che mi hanno aiutato e sostenuto in questi quasi primi trent’anni di politica a livello comunale, cantonale e federale.
Penso ai miei collaboratori del DECS, ai magnifici fedelissimi della direzione e dello staff di direzione, esemplari per dedizione e attaccamento ad un capo non sempre comodo, montanaro un po’ burbero e, almeno così si dice, dalla testa dura, fai sù un po’ a cròchet si dice dalle mie parti.
Un grazie alla mia famiglia, a Patrizia, se fossi credente direi santa Patrizia patrono di Nanzenga che mi ha supportato e sopportato, che ha condiviso le mie scelte e mi ha sostituito durante le mie continue assenze. E un grazie ai miei figli ai quali ho forse fatto mancare una presenza costante, ma che hanno anche avuto il privilegio di essere cresciuti a pane e politica e di mettere in pratica la cultura del confronto e del dialogo. Oggi ho la soddisfazione di prendere atto che condividono i miei valori repubblicani e che sono fieri liberali radicali.
Esco da questa esperienza di 11 anni di Governo con la convinzione rafforzata della necessità, per il bene del nostro Paese e delle democrazie in generale, di poter contare su uno Stato liberale forte e laico. Deve continuare a far parte del DNA del nostro partito, lo ricordo soprattutto ai nostri giovani, la capacità di batterci per uno Stato con istituzioni credibili e rispettate; uno Stato che sappia difendere con estrema fermezza i principi fondamentali e irrinunciabili della democrazia, come quelli della rigorosa separazione dei poteri, dell’affermazione dei diritti umani e della tutela della dignità della persona. Principi che passano dalle libertà individuali, dalla tolleranza religiosa, dalle libertà di coscienza e di stampa, dalla protezione della proprietà, dalla promozione e dalla valorizzazione della responsabilità individuale.
La crisi degli ultimi anni, dalla quale stiamo forse lentamente uscendo, ha dimostrato a tutti che solo uno Stato forte e con risorse finanziarie adeguate è in grado di dare risposte puntuali alle esigenze di una società moderna. Una società che è sempre più esposta a mutazioni rapide e repentine di cicli economici, le cui sorti scaturiscono da fattori che ci bypassano, a migliaia e migliaia di chilometri di distanza, ma che inevitabilmente fanno sentire le loro conseguenze anche da noi.
La Svizzera e il Ticino hanno dimostrato, con finanze pubbliche solide e debiti pubblici sotto controllo, di essere attrezzati per soccorrere sia le cittadine e i cittadini in difficoltà, sia le aziende, istituti bancari compresi, che faticano a riprendere i loro ritmi produttivi virtuosi.
Ve lo immaginate in che condizioni saremmo oggi se avessimo dato seguito a tutte le proposte di aumento di spesa di socialisti, Lega e PPD? O a tutte le richieste di diminuzione delle entrate auspicate dall’UDC? Ma peggio ancora, vi immaginate in quale situazione saremmo oggi se anzitutto noi liberali radicali non avessimo avuto la forza, il coraggio e anche la serietà di combattere le continue e contraddittorie provocazioni della Lega dei Ticinesi? Lega che chiede contemporaneamente più spese e meno entrate senza rinunciare poi a inoltrare valanghe di atti parlamentari per denunciare l’inefficienza di questo o quell’altro servizio dell’amministrazione; servizi che la stessa Lega vorrebbe invece indebolire “mandando a casa”, così scrive alla domenica, i “fuchi” che rubano lo stipendio quali funzionari dello Stato.
Ci pensino i ticinesi se vogliono dare in mano a questi venditori di fumo le sorti del nostro Cantone. Io intanto rifletto – come dice bene lo slogan della nostra campagna elettorale – e continuo a sentirmi fiero e a fidarmi del lavoro di noi liberali radicali.
E mai come in questo periodo di nuovo buio, nel quale si assiste un po’ ovunque al ritorno delle guerre di religione, con Paesi in cui si perseguitano i cristiani e altri in cui si forza la presenza, per non dire l’ingerenza nella nostra vita di tutti i giorni, di credenze diverse, s’impone il fermo ossequio di un altro principio che ha fatto la storia di questo nostro Partito liberale radicale ticinese: la laicità dello Stato e la neutralità religiosa degli spazi pubblici, scuola pubblica in testa.
Mai come in questo momento è necessario riaffermare il ruolo determinante, a salvaguardia proprio anche della pace religiosa e della libertà di coscienza, di credenza e di “non credenza”, dello Stato laico, in grado di mantenere un atteggiamento imparziale nei confronti delle fedi religiose dei cittadini, siano queste di maggioranza o di minoranza.
È questa la premessa migliore per assicurare tanto una pacifica convivenza e una costruttiva dialettica fra laici e non laici, fra credenti e non credenti, quanto una riconosciuta preminenza delle regole dello Stato che vanno rispettate da tutti.
Non da ultimo perché noi liberali radicali, se vogliamo rimanere coerenti nella volontà di agire e decidere secondo il metodo liberale, secondo il principio caro a Einaudi di “conoscere per deliberare”, in antitesi a chi oggi segue il motto “improvvisare, basta far parlare di sé”, dobbiamo rifuggire da posizioni dogmatiche, preconfezionate o semplicemente dettate dalla moda del momento: la nostra forza sta nella capacità di mettere tutto in discussione, anche quello che non fa tanto piacere e non è popolare, per poter poi prendere posizioni e decisioni fondate sulla conoscenza. Non per raccogliere applausi, che poi spesso si spengono alla prima verifica seria, ma per promuovere benessere e fare l’interesse generale delle cittadine e dei cittadini.
Il liberalismo non ammette posizioni dogmatiche e verità assolute, non ha posto per chi mette in discussione il relativismo culturale. Il liberalismo, come scrive Ernesto Paolozzi in un saggio su “Croce e il metodo liberale”, “va sempre messo in movimento. Va collocato nella storia, nella realtà. Aggiornato continuamente. In questo senso il liberalismo è sempre metodo liberale, è sempre un’interpretazione della libertà attraverso il principio della libertà. Non esistono principi assoluti tranne il principio della libertà che per sua natura non ammette assoluti”.
Care amiche e cari amici,
ho sempre operato all’insegna di questi principi e valori alla conduzione del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport. In questo operato ho raccolto molte soddisfazioni, non tanto per me, ma per il nostro Cantone.
Penso, per cominciare, al mio decisivo apporto a risolvere il problema dei rifiuti, contribuendo all’inizio del mio mandato a far finalmente abbandonare la bufala Thermoselect, forse il caso di malaffare e commistione tra affari privati e compiti pubblici più grave nella storia recente del Cantone Ticino. Speculazioni e abbagli che hanno poi trovato qualche coda di paglia nei periodi bui dell’AET. Spero non succeda più, anche se qualche dubbio mi perseguita su chi potrebbe oggi avere un interesse a finanziare certe campagne contro la medesima AET.
Ma il mio arrivo in Consiglio di Stato, avvenuto come sapete nell’estate del 2000 in un contesto drammatico, mi ha subito portato a perorare la causa a Berna, poi andata a buon fine, per il riconoscimento del Ticino quale Cantone universitario. Un riconoscimento che ha sancito il riscatto del Ticino e della Svizzera italiana da una condizione di subordinazione in quello che considero lo strumento principale della crescita di un Paese, lo strumento della formazione. Ho così potuto distribuire le prime licenze dell’Università della Svizzera italiana e i primi diplomi della Scuola universitaria professionale. Stringendo le mani dei laureati e diplomati – mani sudate per l’emozione, come magistralmente ne ha scritto Giuseppe Buffi – e guardandoli negli occhi, ho capito cosa poteva significare per loro, per il Ticino e per la Svizzera italiana. Finalmente si avverava il disegno di Stefano Franscini, che certamente guardava all’università ticinese come l’indispensabile corona per tutto il sistema scolastico.
Ma a queste soddisfazioni ben presto se ne è aggiunta un’altra. La conferma che il Ticino ha dato alla scuola pubblica, nella memorabile giornata del 18 febbraio 2001, che ha spazzato, come il vento del Nord, le nubi che incombevano su di essa. Il decennale di questa giornata storica lo ricorderemo fra due settimane, perché ricordare e conoscere serve sempre per decidere meglio. Ne è uscito un primato rafforzato della scuola pubblica quale espressione del dovere dello Stato di provvedere all’istruzione, condizione della manifestazione della personalità di ciascun uomo e di ciascuna donna e quale condizione di corretto funzionamento delle istituzioni democratiche. Scuola pubblica quale strumento di integrazione e di coesione, nonché di opportunità di accesso allo studio indipendentemente dalle etnie, dalle lingue, dalle religioni, dalle ideologie, dalle condizioni economiche e sociali delle famiglie.
Se passo ora direttamente quasi alla fine del mio mandato, credo che vi siano altre riforme e altre soddisfazioni che mi accompagneranno dopo il 10 aprile. Da un lato il trasferimento, dopo quello delle formazioni sanitarie superiori, dell’Alta scuola pedagogica alla SUPSI, per completarne la sua trasformazione in scuola universitaria: dopo un avvio inevitabilmente difficile, il nuovo Dipartimento della formazione e dell’apprendimento sta trovando la sua ideale velocità di crociera per una sempre miglior formazione dei docenti e per il bene della scuola ticinese. Dall’altro c’è la consapevolezza che l’USI, dopo la costituzione di una nuova Facoltà di informatica e dell’Istituto di scienze computazionali, è pronta per un nuovo salto di qualità, con l’istituzione del master in medicina per la formazione clinica, aggregando le competenze sviluppate nel nostro Paese al punto tale di farlo conoscere, e far conoscere Bellinzona, in tutto il mondo: penso ai servizi di alta specialità nel nostro Ente ospedaliero, all’IRB, allo IOSI, al Cardiocentro e ad altre strutture ospedaliere e di ricerca, private e pubbliche, che, coordinate in rete, costituiranno la spina dorsale di un centro di competenza che muterà il disegno dell’offerta medica cantonale.
In mezzo a questi picchi ci sono dieci anni di lavoro magari meno appariscente ma altrettanto proficuo per la scuola ticinese. In questo lavoro di può collocare anche l’edilizia scolastica, poiché sedi confacenti sono anche la premessa per una buona scuola, e la loro realizzazione procura vantaggi anche all’economia locale. Sono state realizzate ex-novo o ampliate o totalmente rinnovate – in alcuni casi i lavori sono in corso – molte sedi di scuola media – Balerna, Morbio Inferiore, Riva San Vitale, Barbengo, Gravesano, Bedigliora, Camignolo, Cevio, Bellinzona 1 e Bellinzona 2 – la sedi dei licei di Locarno e Lugano, nonché molte sedi di scuola professionale – Chiasso, Mezzana, Mendrisio addirittura in due istituti, Lugano in tre istituti, Trevano, Locarno, Bellinzona. A questi si aggiungono gli interventi per le sedi dell’USI e della SUPSI e quanto predisposto per i loro nuovi campus.
La somma complessiva investita nell’edilizia e nelle infrastrutture è impressionante. In questi dieci anni sono stati votati crediti per le scuole pubbliche cantonali per 305 milioni di franchi. Per il nuovo Campus USI e SUPSI sono previsti altri 200 milioni di investimento a Viganello, alla stazione di Lugano e a Mendrisio.
A queste somme investite direttamente dal Cantone, mi piace segnalare lo sforzo finanziario fatto nel campo della cultura, con il consolidamento e l’ampliamento dei sussidi al Festival del cinema, per citare solo il più importante. Oppure il contributo dato, assieme alla Città di Lugano, per mantenere nel Ticino il Centro svizzero di calcolo scientifico. Certamente Lugano – e il suo sindaco Giorgio Giudici – vanno ringraziati per quello che hanno fatto e fanno nel campo della scienza e della cultura, per quest’ultima per esempio con la realizzazione del Polo culturale che ha permesso di sottoscrivere una accordo storico fra Cantone e Città che consentirà un aumento degli spazi espositivi e una maggiore fruizione dell’ingente patrimonio museale e artistico del Paese. A questa Lugano progettuale, che collabora con il Cantone, si contrappone purtroppo una Bellinzona ingabbiata, in cui un docente pensionato si oppone persino alla realizzazione del Centro di Gioventù e Sport e della nuova sede dell’IRB, un istituto – come già detto – che fa parlare di Bellinzona in tutto il mondo.
Non vorrei però ridurre il mio bilancio a una mera indicazione finanziaria.
Ci sono stati anche capitoli legislativi importanti, come l’adesione all’accordo Harmos sulla scolarità dell’obbligo, che ci ha comunque consentito, grazie a serrate negoziazioni preventive, di preservare alcune specificità della scuola del nostro Cantone. C’è stata l’istituzione del Fondo cantonale per la formazione professionale, promosso sì da un’iniziativa parlamentare elaborata del PS ma su cui il DECS ha dovuto lavorare come non mai per trovare le formule giuste per costruire il consenso con sindacati, ambienti economici e Parlamento. C’è stata l’introduzione dei contratti di prestazione con USI e SUPSI, una moderna forma di gestione di istituti formativi che di per sé necessitano di una libertà d’azione, chiamata appunto autonomia accademica, che ha poi fatto strada nel resto della Svizzera. Penso pure agli ultimi messaggi ancora licenziati nelle scorse settimane, per esempio i due sulle borse di studio, per allinearsi con il resto della Svizzera e per renderle più mirate, uno degli strumenti attraverso cui si esplica il principio caro al nostro Partito, quello delle pari opportunità da garantire a tutte le persone alla partenza di un loro percorso di formazione. Un obiettivo per cui si sono impegnati anche i nostri giovani di GLRT, con la loro petizione, e gliene sono grato. Abbiamo anche e soprattutto giovani che hanno visioni e che sanno individuare quelli che sono i veri problemi dei loro coetanei, l’accesso agli studi, l’occupazione, la salvaguardia dell’ambiente. A questi giovani dobbiamo ora dare il giusto spazio nei diversi consessi, a partire naturalmente dal Gran Consiglio.
Ma oggi non è solo tempo di bilanci. Come liberale radicale il mio sguardo è rivolto soprattutto in avanti, verso le importanti sfide che ancora ci aspettano, verso il ruolo che noi liberali radicali dobbiamo continuare a svolgere per la crescita e il benessere del Paese.
Mancano poche settimane al 10 aprile e, come aveva detto bene Argante Righetti a uno degli ultimi comitati cantonali, la riconferma dei nostri due seggi in Consiglio di Stato non sarà una passeggiata.
Oggi si è tornati a parlare del raddoppio della galleria del San Gottardo, ma il primo raddoppio cui mira la Lega dei Ticinesi è quello che potrebbe ottenere fra due mesi in Governo, naturalmente a scapito del PLRT.
Ai ticinesi spetta dunque una scelta di fondo. Le elettrici e gli elettori di questo Cantone dovranno decidere se premiare la politica seria di chi vuole costruire davvero il benessere del Paese, di chi con senso dello Stato e della responsabilità ha promosso e promuove politiche di vero sviluppo, senza la paura di dire ai ticinesi che non si possono esaudire tutti i desideri, oppure se vorranno preferire chi minaccia e racconta frottole, domenica dopo domenica, facendo credere che è possibile spendere di più per tutti, aumentare servizi e prestazioni, spesso aprendo la strada alla nuova politica del tutto gratis, e allo stesso tempo pagare meno imposte e tasse, dando sempre e comunque la colpa di ogni problema agli stranieri, ai frontalieri, ai bambela di Bellinzona, alle oche e agli asini di Berna.
Gli strilloni, gli affabulatori, i seduttori di popolo hanno ormai capito che possono ritagliarsi un posto in prima pagina – grazie anche alla compiacenza di giornalisti e cameraman delle nostre televisioni – se alimentano nel Paese quella che Sergio Romano, in una delle sue sempre intelligenti e puntuali risposte ai lettori del Corriere della Sera, definiva “la società del brontolio, del mugugno, della diffidenza e della paura”.
In molti, troppi, amano presentare il Ticino come un Cantone allo sbando, dove non funziona niente, dove esistono solo precarietà, povertà e disoccupazione, dove addirittura mancano le idee. Penso che non debba prodigarmi più di quel tanto per convincervi che, al di là dei problemi puntuali che comunque vanno affrontati e risolti di volta in volta, la situazione generale del Cantone Ticino è ben diversa. Basterebbe solo pensare a come sono messi altri Paesi, anche a noi molto vicini, i cui cittadini, ma anche i Comuni e le Regioni, stanno ora pagando a caro prezzo il “lasser faire” per troppi anni ai vari cavalieri di industria che hanno utilizzato lo Stato e le loro istituzioni per alimentare i loro interessi privati.
Mi fa male vedere che questa presentazione falsificante della realtà abbia per finire contagiato anche qualche liberale, che forse ritiene di guadagnare, in questo modo, un po’ più di visibilità nella sua corsa per la conquista di un seggio.
Questo modo di far politica, dove ormai si è perennemente in campagna elettorale, invece di fare l’interesse del Ticino e dei ticinesi, concentra i propri sforzi in tatticismi perversi. Il Presidente Jelmini in questi 4 anni ha più o meno fatto solo questo, e nella volontà – che poi è solo una pia illusione – di non perdere voti per strada.
È successo, per esempio, nella discussione sull’amnistia fiscale. All’inizio hanno fatto a gara per mettersi una medaglia per chi era stato il primo a proporla. Poi, avvertita la minaccia di poter perdere in popolarità, si sono ritirati tutti in trincea, lasciando la direttrice del DFE e il nostro partito da soli a difendere la bontà di questa proposta, a parole condivisa.
Ed è successo anche per la LORD, la legge sull’ordinamento dei dipendenti pubblici e dei docenti, bocciata in votazione popolare anche perché quella stessa Lega che ogni domenica non ha mai perso occasione per sparare sui funzionari, non si è mossa di un millimetro per sostenere una riforma che avrebbe davvero introdotto novità interessanti, come quella del salario al merito, nell’amministrazione cantonale. Anche qui, per un voto, ci si vende a poco prezzo. Tanto la fattura la pagheranno tutti i ticinesi. E PPD e compagni si sono defilati, anche per non contraddire i fratelli dell’OCST. Ma per la stampa nostrana siamo solo noi ad avere due anime e ad essere litigiosi. Infatti di questi tempi Jelmini e Beltraminelli si amano alla follia e non si fanno alcuno sgarbo. Infatti di coltelli e altre armi bianche non ne abbiamo ancora viste.
Ma questo modo di fare si sta ripetendo anche per la Cassa pensione dei dipendenti dello Stato. Tutti o quasi all’inizio si dicono d’accordo sul fatto che bisogna intervenire per risanarla, ma sappiamo già adesso che nessuno alla fine, tranne i liberali radicali, avrà il coraggio di andare fino in fondo.
Amiche ed amici liberali radicali tocca ancora a noi assumere responsabilità e indicare le vie da seguire, proporre le necessarie riforme, creare le condizioni quadro necessarie per favorire l’insediamento di aziende e industrie e creare posti di lavoro, richiamare al rigoroso utilizzo delle risorse finanziarie ed evitare pericolosi aumenti del debito pubblico a garanzia di risorse per poter assicurare l’adempimento dei compiti prioritari dello Stato.
Cara amiche e cari amici liberali, fra qualche settimana si concluderà questa parentesi della mia vita che mi ha dato l’opportunità di mettermi al servizio del partito e del Paese. L’ho fatto con grande rispetto della carica e so di aver cercato di dare il meglio di me. Ma è facile fare politica quando si amano le proprie concittadine e i propri concittadini e soprattutto il Paese al quale ti senti legato da radici profonde. Ma ho anche ricevuto molto in soddisfazioni personali e in affetto da parte vostra, di molte amiche e molti amici, ma anche degli elettori in generale. Il mio secchio, per usare una metafora di Giuseppe Buffi, l’ho riconsegnerò più o meno pieno. Ho sicuramente perso un po’di acqua per strada, ma so di averne aggiunta parecchia d’altra.
Continuerò a rimanere fedele a questo partito, e anche a disposizione dello stesso. Ma a condizione che rimanga fedele ai suoi valori di sempre, che non si adagi anch’esso, come hanno orami fatto quasi tutti gli altri, alle tentazioni del qualunquismo, del populismo, delle soluzioni ad effetto ma effimere e fuorvianti. Io continuerò a preferire un partito che ha una linea ferma e che non si fa dettare ritmi e decisioni dalle pressioni dei media.
Io voglio continuare a sentirmi a casa in un partito che diffonde i valori del liberalismo, del federalismo e della democrazia, un partito che favorisce la libertà individuale, la libertà nella solidarietà, e nel rispetto della persona umana nella sua specificità, un partito che premia e non mortifica la responsabilità del singolo e la forza del lavoro, un partito che promuove le condizioni che aumentano quanto più possibile le opportunità di tutti gli individui di poter realizzare le proprie aspirazioni.
Lasciatemi continuare a sognare un Ticino aperto, non conservatore e non chiuso su sé stesso, una società, per dirla con Popper, aperta, plurale, post-ideologica, post-totalitaria, ben disposta ad ogni possibilità di cambiamento costruttivo. Un “modo di convivenza umana in cui la libertà degli individui, la non-violenza, il rispetto dell’altro e del diverso, la protezione delle minoranze, la difesa dei più deboli rimangono valori forti”.
Una società in cui si parla di cittadine e di cittadini e non, grossolanamente, di “gente”. Una società con i nostri valori, che sono la negazione di quelli predicati domenica dopo domenica da chi vuol soffiarci un seggio in Governo.
Per questi valori, per questi ideali varrà la pena batterci come leoni nelle prossime settimane.
Gabriele Gendotti, Consigliere di Stato
Direttore del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport
Repubblica e Cantone Ticino