Da: Luigi Giusso, Economia Metodo Morale, edizioni “Il Cinabro”, Catania, 1998 (pp.129-133)Nel saggio di Paolozzi, insieme ad una stringata quanto vivida esposizione del pensiero di Benedetto Croce, se ne focalizzano con acutezza, i passaggi più ardui, fonte spesso di una congerie di equivoci, e talvolta obiettivamente ambigui, o inadeguati nello stesso ambito del “ sistema” crociano. Non che tutto sia risolto: ma sui punti più controversi del dell’opera di Croce, Paolozzi ci presenta i chiarimenti, le integrazioni e gli sviluppi, in cui si sono cimentati, pur nella fedeltà all’impianto originario, egli stesso e studiosi egregi scomparsi come il Parente e il Franchini; ciò rende il “profilo” da lui tracciato quanto mai interessante.Tra le posizioni crociane più dibattute, la categoria dell’utile e la teoria delle scienze come pseudo-concetti.Nella categoria dell’utile Croce include attività umane disparate, dall’economia alla politica al diritto, a quelle che usiamo chiamare “scienze”: tutte accomunate dall’appartenere alla sfera degli interessi particolari, ad atti di “volizione dell’individuale”, in quanto distinti dagli atti di “volizione dell’universale” o morali. L’utile può diventare un disvalore “se urta contro un principio morale”, va di per sé una categoria insopprimibile e positiva, mentre ogni atto morale è anche utile per la persona che lo compie. Nell’ultima fase della sua instancabile ricerca il filosofo perfezionò la categoria dell’utile con la nozione della “vitalità”, forza “cruda e verde”, quasi manifestarsi primigenio della natura umana, con le sue passioni, istinti, egoismi. L’utile, o il vitale, nell’uomo morale si auto-supera e trasfigura come avviene nella buona politica; se gli Stati non si governano pater noster e le avemarie, secondo il detto di Machiavelli, ricorda Paolozzi, “il buon politico, come l’autentico uomo morale, è, secondo il dettame vangelico, puro come le colombe, astuto come il serpente”. Sul piano teorico o della conoscenza, un’integrazione fra le due componenti si ha con la storia “etico-politica”, che è appunto per Croce, nelle parole di Paolozzi, “sintesi fra momento ideale e momento della forza, entrambi dialetticamente indispensabili per l’evolversi della vita e, dunque, della storia”, ed è superiore alle storie particolari, anch’esse necessarie come l’economica, o le storie delle istituzioni, delle arti figurative, letterarie, ecc.La qualificazione crociana delle scienze, come rientranti anch’esse nella categoria dell’utile e quindi non aventi valore conoscitivo ma di orientamento nella pratica, (che tanto ha sempre scandalizzato gli studiosi delle varie branche e l’opinione comune), si giustifica in quanto il metodo scientifico porta a “generalizzazioni astraenti”, mentre vero valore conoscitivo appartiene solo a quell’ “universale concreto”, o individualizzato, in cui consiste il giudizio storico. Però il momento della cosiddetta scoperta scientifica è un atto di conoscenza, “storico” anch’esso, chiarisce (con originalità) Paolozzi, da distinguere dalla “legge scientifica”, che è facilmente astrazione e generalizzazione. Quel che Croce considera pseudoconcetti, utili nella pratica, “esatti ma non veri” li definisce heideggerianamente Paolozzi, sono le generalizzazioni, le classificazioni proprie delle scienze fisico-matematiche e naturali, e di quelle stesse umane e sociali, come la psicologia, la sociologia e l’economia; eguali limiti di valore hanno le schematizzazioni storiografiche e letterarie. Croce considera “astratta” anche la pura filosofia, definita “momento metodologico della storiografia” e cioè tale che si invera solo nella concreta attività storiografica. Il giudizio storico (la storia come pensiero, non mera aneddotica o racconto) deve servire di preparazione e schiarimento per l’azione (per la storia come azione, come fare). Per questo la ricerca storica è sempre “contemporanea”, cioè risponde alle esigenze del presente; se la storia non è maestra di vita, come invece suol dirsi, è proprio perché, scrive Paolozzi, “è semmai la vita, il presente che mettono in prospettiva la storia passata” (ma deve trattarsi sempre di ricerca della verità, senza subordinazione a fini di parte). Il giudizio “prospettico”, rivolto al futuro, teorizzato dal crociano Raffaello Franchini, integra il giudizio storico crociano, valorizzando la previsione come strumento di collegamento fra la storia e l’azione. Il “liberalismo metodologico” (così Paolozzi preferisce chiamarlo, anziché, alquanto equivocamente e pomposamente, “teoria metapolitica della libertà”) costituisce l’essenza dell’avanzatissima teoria politica di Croce, che non lega, in linea di necessità logica, il liberalismo politico a nessuna forma di organizzazione economica della società, e quindi nemmeno al liberismo economico (ciò in contrasto, a suo tempo, con un Einaudi o un Ropke, e oggi con il liberal-liberismo radicale di un Friedrich Von Hayek).Un cenno, infine, alla teoria dell’arte, che ha rappresentato per Croce, biograficamente parlando, la chiave di ingresso alla filosofia. L’arte, che mira alla bellezza espressiva, all’espressione bella del sentimento, è per Croce intuizione-rappresentazione, e quindi momento conoscitivo dello spirito; come lo è, nella sfera filosofica, il concetto. Paolozzi chiarisce bene la differenza fra la “comunicazione dell’arte (con parole, note musicali, etc) e la rappresentazione artistica (alla ricerca della quale la stessa intuizione si precisa e si completa, per cui è legittimo propriamente parlare di unità di intuizione-rappresentazione). Ma, annotando che la tecnica “accompagna” l’attività artistica (anche “non esaurendola”), egli lascia forse un po’ in ombra che la tecnica appartiene, crocianamente, per intero alla fase della comunicazione; l’identità crociana tra contenuto e forma (o linguaggio) va intesa in termini spirituali o interiori, appunto conoscitivi, e non con riferimento all’esplicazione materiale o esteriore dell’arte; anche questo è uno dei momenti ardui della speculazione crociana.Conosciamo il carattere “mondano” (immanentistico), in coerenza con tutti il suo pensiero, del celebre titolo crociano “Perché non possiamo non dirci cristiani” del 1942. Paolozzi conclude il suo scritto proprio con una citazione che connette l’immanentismo del filosofo alla fedeltà di lui, intellettuale e sentimentale, alla tradizione cristiana. Dobbiamo tutti lavorare in coscienza e convinzione, dicono le ultime parole della Storia d’Europa (1932), “ogni giorno, ogni ora”, in ogni nostro atto, eppure lasciando fare “alla divina provvidenza, che ne sa più di noi singoli e lavora con noi e dentro di noi e sopra di noi”. “Parole come queste, soggiunge Croce, che abbiamo apprese e pronunciate sovente nella nostra educazione e vita cristiana, hanno il loro luogo, come altre della stessa origine, nella religione della libertà”. Che è poi, la religione della libertà, di là da una qual unicità dell’espressione, il dovere di agire bene, quale che sia il nostro modo individuale di essere nel mondo.