Il richiamo di Manganelli non cada nel vuoto.

Il capo della Criminal pool, Antonio Manganelli, ha avuto il coraggio di affermare, a seguito della tragica vicenda della piccola Valentina assassinata a Pollena Trocchia, che la lotta alla criminalità organizzata diventa difficilissima in un ambiente di generale degrado dei valori, della cultura, dell’economia, della socialità. Manganelli, sia detto per inciso, non è un sociologo e neanche un parroco.

Certamente qualcuno potrà ricordarmi che negli anni Sessanta e Settanta l’idea che, come allora si diceva, a monte dei fenomeni delinquenziali vi erano problemi sociali ed economici si era tramutata in un insopportabile slogan sociologico buono per ogni discorso retorico, per tesi di laurea, per articoli giornalistici improbabili quanto improvvisati. Lo ricordo bene, e ricordo che, allora, si cominciava ad invocare, al posto della solita solfa storicistico-sociologistico-economicistica, o come altro si voglia dire, l’intervento duro, se non durissimo, delle forze dell’ordine.

Da allora un susseguirsi di operazioni militari più o meno spettacolari, più o meno riuscite, un susseguirsi di nuovi slogan fino a quello reso noto dal Sindaco di New York, Giuliani, della tolleranza zero. E certo, ancora oggi è patetico, se non irritante, sentir dire, di tanto in tanto, in un rigurgito di postsessantottismo che la scuola deve svolgere un ruolo fondamentale: pare già di vedere maestre e professoresse che, con il dito alzato o con materna dolcezza, spiegano ai tanti piccoli delinquenti che affollano le nostre aule, che è male rubare i motorini; che è sbagliato guadagnarsi un sacco di soldi facendo il palo; che è brutto divertirsi spendendo migliaia di lire, e che è invece bene essere buoni, studiare, rispettare il padre e la madre e, perché no, il parroco, e così via. Roba da far diventare delinquente anche il ragazzo meglio educato! E’ così. Infatti, a Napoli, come in tutt’Italia per la verità, hanno cominciato ad aver successo quei presidi che condannano i ragazzi maleducati a pulire i cessi, a pagare le spese delle suppellettili rotte, che ne controllano i movimenti attraverso il computer. E poi, in America, dove la situazione criminale e scolastica è peggiore che a Napoli, non ci sono le scuole munite di metal detector, ad evitare che gli alunni portino pistole nelle cartelle? E in Francia, negli istituti periferici, non è arrivata la gendarmerie a sostituire i bidelli?

Sarà tutto vero, ma il richiamo di Manganelli non può restare inascoltato. Deve solo essere bene interpretato. Certamente fondamentale, rimane l’impegno delle forze di polizia e della magistratura. Ma è altrettanto vero che dobbiamo tutti sforzarci di riconsiderare la questione sociale ed economica, che è in gran parte alla base degli atteggiamenti di violenza, come lo è, non lo si dimentichi, il sentimento culturale generale di una nazione, di una generazione. Solo che bisogna evitare di pensare al ruolo della società civile o delle élite come a quello delle maestre e delle professoresse descritte o, peggio, come a quello dei salotti borghesi nei quali si decide di impegnarsi un po’ per il popolo.

Se la scuola deve avere un ruolo, bisogna decidere se su di essa si vogliono investire risorse straordinarie; se si vuole che la cultura influenzi i giovani bisogna porre mano al controllo (che non dev’essere pura censura) della televisione e di Internet; se si vuole che la politica svolga una funzione bisogna che si ridisegni anche il volto urbanistico delle città; se si vuole una ripresa della convivenza sociale bisogna ammettere che almeno parzialmente lo Stato deve governare i grandi processi di ristrutturazione economica. Ciascuno di noi, poi, deve fare un esame di coscienza. Non solo, come s’invoca, evitando di comprare le sigarette di contrabbando o impegnandosi nel far rispettare i semafori. Ma avendo il coraggio di impegnarsi nelle proprie famiglie (e non solo, ingenerosamente, nelle famiglie altrui) per evitare che i nostri figli passino tre quarti della giornata a vedere cartoni animati violenti; a scorazzare su motorini milionari o potenti macchine; a passare la notte in tragicamente affollate e inumane discoteche.

E basta, dunque, dare la colpa della diseducazione dei nostri figli a maestre e professoresse.

Ernesto Paolozzi

Da “Corriere economia” del 20 novembre 2000