Per il bene del Mezzogiorno torniamo meridionalisti
Alla fine di agosto, in coincidenza con quella che possiamo definire la fine della tregua politica, da più parti, e significativamente, arrivano segnali di inquietudine se non di aperta preoccupazione per il destino del Sud d’Italia. Cautela critica quella di industriali importanti e da sempre attentissimi alle vicende socio-politiche dell’intero paese e del Sud, penso ad Enzo Giustino e allo stesso Averna, per non citare altri. Critiche ferme e severe da parte dei sindacati e, soprattutto, della Cgil che attraverso le parole di Gravano mette in serio dubbio che la politica economica, del governo e di Tremonti in particolare, possa giovare al Sud. Addirittura un vero e proprio allarme è lanciato da molti sindaci che si sentono, a loro dire, completamente abbandonati dallo Stato (il quale, a meno di improbabili ritorni gentiliani è concretamente il governo e le sue articolazioni), soprattutto nell’ambito dell’ordine pubblico e della difesa della sicurezza dei cittadini.
Ed effettivamente, i primi cento giorni del governo non sembrano esaltanti sul piano delle proposte, tantomeno su quello delle iniziative legislative ed amministrative. Ci si muove secondo coordinate sempre uguali a se stesse ormai da anni: si ritiene che il Sud abbia bisogno di infrastrutture e di opere pubbliche, di incentivi fiscali, di flessibilità del lavoro, di incentivi alla ricerca scientifica. A questo si aggiungono altre generiche affermazioni da bar della politica, quando non da bar dello sport: che l’oro del Sud è il turismo ambientale e culturale; che bisogna smettere con l’assistenzialismo, che lo Stato deve far sentire la sua presenza nel territorio, etc. etc. Ma, non solo tutte queste ricette non sembrano, neanche in teoria, particolarmente brillanti e originali, quanto, appena si cerca di capire come possano tradursi in realtà, esse appaiono o totalmente vuote di contenuto o addirittura controproducenti. Quando, ad esempio, per infrastrutture e opere pubbliche s’intendono soltanto quelle due o tre grandi realizzazioni le quali vedranno la luce, ad essere ottimisti, non prima di un decennio, e che sembrano essere più di facciata che non realmente necessarie, come il ponte di Messina, quantomeno si resta perplessi. La perplessità aumenta se si pensa che la cosiddetta Tremonti-bis, sul piano dell’incentivazione fiscale, può perfino tramutarsi in un boomerang per il Sud. La flessibilità del lavoro, che può indubbiamente rappresentare un incentivo, rischia di diventare pericolosissima (come anche molti economisti della destra paventano) in un tessuto socio-economico debole nel quale, per così dire, la disoccupazione e il lavoro nero sono troppo diffusi per rendere efficace una politica di estrema flessibilità. Quanto ai luoghi comuni sullo sviluppo turistico e sul cosiddetto assistenzialismo, è inutile tornarci.
Bisognerà forse che imprenditori e sindacati riprendano coraggio nel denunciare quello che il meridionalismo autentico ha sempre denunciato, ossia che il problema dello sviluppo del Mezzogiorno non è un problema di maggiore o minore assistenza, ma di politiche generali dei governi che, quasi sempre, dall’Unità d’Italia ad oggi, hanno finito col privilegiare e incoraggiare lo sviluppo del Nord. Gli ideologi dell’ultimo ventennio hanno saputo con molta abilità accendere i fari esclusivamente sulla degenerazione dello Stato sociale e dello Stato assistenziale nel Sud verso forme di spreco e di clientelismo. Molta più indulgenza è stata usata nei confronti delle richieste del Veneto e perfino del leghismo, il quale è stato abile nel mascherare, come oggi si vede chiaramente, rivendicazioni corporative o assistenzialiste dietro la lotta per la libertà dallo Stato. E quasi tutti siamo caduti o abbiamo voluto cadere nella trappola ideologica preparata oltre il Garigliano. Può darsi che questo complesso si dilegui almeno fra le fila della sinistra e che gli imprenditori più avanzati ed intelligenti comprendano dove sono, sui tempi lunghi, situati i loro reali interessi.
E’ giusto aspettare ancora, aspettare che il governo presenti progetti concreti, definisca e veda approvati i disegni di legge presentati e che l’opinione pubblica, purtroppo, crede siano già leggi dello Stato. Insomma, è giusto aspettare che quando si diraderà il cosiddetto effetto annuncio si possa serenamente discutere di cose concrete. Ma fin da ora bisognerà pur convenire che il governo, nel suo complesso, si presenta come un governo nordista negli uomini, nei gesti, nel linguaggio, nella sensibilità. Ed oggi, in un momento in cui la grande politica e la grande economia si decidono fuori dei confini nazionali, ciò che veramente conta in un governo è la sensibilità, perché è questa che fa la vera differenza con l’opposizione.
Bisognerà, ancora, chiedersi, in conclusione, perché è stato proprio il Sud a dare maggiore forza a questo governo, ritornando sul dibattito post-elettorale troppo rapidamente strozzato dal sopraggiungere dell’estate. A pensarci bene, infatti, il voto non è stato così omogeneo come si è detto. E’ così se lo analizziamo staticamente. Ma se ci proviamo a cogliere le tendenze, scopriremo che, sorprendentemente, mentre in Piemonte e perfino in alcune zone della Lombardia, la tendenza è stata dal centro-destra al centro-sinistra, nel Sud è accaduto l’inverso.
Greenspan pare abbia detto che l’economia americana è un mistero. Ma sta diventando veramente un mistero la politica italiana.
Ernesto Paolozzi
Dal “Corriere economia” del 10 settembre 2001