La vocazione alla servitù della città para leghista

Che giudizio daremmo di una riunione di famiglie di impiegati di un’ azienda X le quali discutono di come far prostituire madri, mogli, sorelle e figlie per ingraziarsi il direttore o i dirigenti dell’ azienda? E che giudizio daremmo di una città, la mia città, che discute su quali siano le modalità più convenienti per farsi conquistare, non tralasciando l’ ipotesi di eleggere un sindaco leghista?

Credo che Napoli sia unica al mondo. Lo è certamente per tante ragioni positive.

Credo, sinceramente, che nell’ ultimo secolo abbia prodotto la più originale filosofia del mondo. Penso che abbia panorami unici, da impareggiabile cartolina. E, tutto sommato, potremmo procedere con un elenco abbastanza lungo. Ma è unica anche perché non vince mai del tutto la secolare tentazione di farsi conquistare, di rinunciare alla libertà e alla dignità. Camorra, inefficienza amministrativa, mancanza di senso civico sono certamente grandi tragedie che attraversano, però, storicamente e geograficamente l’ intero pianeta. Ma città che danno “calci in culo alla libertà”, come recita una vecchia canzone sanfedista, francamente non ne conosco.

I nuovi amministratori della Regione dovranno fronteggiare in primis questa irresistibile vocazione alla servitù che è il nostro cancro.

Negli anni passati la Democrazia cristiana riuscì, fino a un certo punto, a dominare questa propensione. Prendeva, si è detto, un certo tipo, plebeo e clientelare, di voti e li spendeva sul terreno della civiltà politica, nell’ interesse nazionale. Quasi, per dirla alla napoletana, a far fessi gli elettori. Come De Gasperi, sul piano nazionale, faceva con i voti anticomunisti e reazionari: li inglobava con un’ efficace propaganda ma poi, come è noto, guardava a sinistra.

Riusciranno nell’ impresa Stefano Caldoro e gli esponenti provenienti da Alleanza Nazionale di compiere un analogo capolavoro politico? Io mi auguro di sì e penso che quel che rimane dell’ opposizione di sinistra, almeno su questo terreno, dovrebbe collaborare con la maggioranza. E qui, su questo terreno, quel po’ di società civile (si comprenda il senso con cui uso questo termine) residua dovrebbe intervenire con intelligenza e autorevolezza. Il banco di prova sarà il federalismo fiscale. Caldoro è favorevole al federalismo, come del resto il nostro Presidente e concittadino Giorgio Napolitano.

Personalmente lo sono meno, perché appartengo a quella tradizione, quella che va da Giustino Fortunato a Francesco Compagna, che, resa pessimista dall’ estremo realismo, crede poco nella cosiddetta capacità autopropulsiva del Mezzogiorno. Ma il federalismo fiscale giungerà a discussione, ed è inutile, come sostenevano Marco Aurelio e Pietro Nenni, polemizzare con i fatti.

La questione sarà allora come confrontarci con il Nord, sostanzialmente con il governo nazionale che è il governo del Nord. Da sempre.

Si può scegliere la via della vocazione alla colonizzazione: barattare il governo politico ed economico della nazione con qualche mancia per il Sud: qualche opera pubblica, un po’ di fondi qua e là, qualche manifestazione sportiva o canora regalata a questo popolo di simpaticoni. Oppure, riconoscendo i nostri limiti storici e politici, cercare di far comprendere che non è vantaggioso per nessuno abbandonare venticinque milioni di abitanti al loro destino e una grande e antica capitale come Napoli alle pulsioni reazionarie, populistiche e sanfediste. Il profilo riformista, da socialista liberale di Caldoro, incoraggia a un cauto ottimismo, ma le condizioni generali del dibattito nel paese e i reali rapporti di forza lasciano temere il peggio. La Lega c’ è, cresce ed è forte. Prima o poi, come ogni umana cosa, si consumerà, incrocerà la dura realtà della storia, del governo reale di un paese difficile e in crisi come l’ Italia. Ma ci vorrà del tempo, e in questo tempo si consumerà il destino di una generazione, e le altre dovranno ricominciare da capo.

Ernesto Paolozzi

Repubblica – 08 aprile 2010 pagina 1 sezione: NAPOLI                                                                                                                   Repubblica archivio