Non solo calcio:  Meglio Pelé o Maradona? Lo decide Kant

Disputa tra filosofi. «Il brasiliano? Modello etico». «Diego è emozione»

Pelè ai mondiali del 70 in Messico in Italia Brasile (1-4)

MATERA – La verità non esiste, la verità è un gioco. E se il concetto vale per il mito della scienza oggettiva, può essere applicato anche al seguente dilemma, che per quanto piccolo fa dibattere da anni la civiltà occidentale e non solo quella: Maradona era davvero meglio di Pelé?
La questione non è di poco conto, e così una delle ultime tavole rotonde della Settimana internazionale della ricerca, bella manifestazione organizzata a Matera e dedicata quest’anno a «L’invenzione della verità», ha cercato di venirne a capo. Lo anticipiamo a beneficio di coloro che sperano di trovare in queste righe la risposta definitiva a una domanda che ogni appassionato di calcio si è fatto almeno una volta nella vita: tecnicamente è stato un pareggio.

Il fischio d’inizio era per le ore 15, sala Carlo Levi di Palazzo Lanfranchi. Tra un simposio su «Verità, relativismo e pluralismo», una lectio magistralis del filosofo Aldo Masullo su «Il civile discorso e la selvaggia intuizione», nel programma ufficiale compariva il dibattito «La mano de Dios». Da una parte del tavolo c’erano il sociologo, docente e ricercatore del Cnr Oscar Nicolaus, noto anche per aver fondato il comitato «Te Diegum», e il filosofo napoletano Ernesto Paolozzi. Dall’altra, chiamati a sostenere le ragioni di Edson Arantes do Nascimento detto Pelé, c’era il filosofo siciliano Giuseppe Gembillo, docente dell’università di Messina, e Salvatore Aleo, giurista e professore di diritto penale a Catania.

Maradona ai mondiali del 1986 in Messico in Argentina Inghilterra (2-1)

Insomma, si volava alto ma anche rasoterra, come deve essere per una discussione filosofico-calcistica. Gembillo è partito subito all’attacco, usando argomenti di kantiano idealismo. «Lasciando perdere le vicende quantitative, che vedono Pelé al primo posto nella classifica dei goleador di sempre, mentre il vostro Diego è solo 97esimo… ma se la mano de Dios esiste lo deve alla benda del diavolo messa sugli occhi dell’arbitro. In quella che voi vedete come una marachella c’era già la differenza etica tra i due personaggi».

Nicolaus soffriva visibilmente a questa parole, e dopo breve rincorsa si è lanciato in un duro tackle, accusando il collega sicilian-brasileiro di tradire l’amato Hegel, nel nome di un’ottusa razionalità. Per smontare le tesi gembilliane sul celebre e irregolare primo gol all’Inghilterra ha citato due grandi filosofi contemporanei. Il primo è Martin Heidegger, teorico della trascendenza radicale dell’essere e grande appassionato di sport, che una volta disse al ct della nazionale tedesca la seguente frase, «il calcio piace perché il pallone è rotondo». Una verità alla quale, con tutto il rispetto, era giunto anche Aldo Biscardi.

Il secondo è Vujadin Boskov, citato per il suo immortale «rigore è quando arbitro fischia». Questo per dire che la quaterna arbitrale fa parte di un gioco per sua natura imperfetto. E se la prende con i kantiani, «che sognano sempre un ideale di purezza», dimenticando un gioco puro non è immaginabile. «Quelli che oppongono la perfezione sociale di Pelé all’imperfezione di Maradona si inseriscono nel solco occidentale di separazione della ragione dall’emozione».

Il raddoppio di marcatura è giunto puntuale dal filosofo Paolozzi, che citando Pascal – «Maradona è la ragione del cuore che il cuore non può conoscere» – ha fatto l’elogio del Pibe come giocatore della complessità. «Con le sue umane debolezze Diego fa vincere la realtà della vita sulla concezione matematica e geometrica del calcio». Dalla fascia è arrivata l’incursione di Aleo, fedele a una visione etica del calcio. «Maradona è stato un esempio catastrofico fuori dal campo. Nel mondo moderno il calcio ha sostituito gli eroi dell’Olimpo. E per questo necessita di nobili divinità».

A quel punto le squadre si erano ormai allungate, inutile cercare ogni parvenza di schema.

È scoppiata la bagarre, con l’arbitro, il signor Mauro Maldonato, psichiatra dell’Università della Basilicata e direttore scientifico del convegno, che faticava a tenere le redini dell’incontro. «Il vero esempio – ha contrattaccato Paolozzi – è quello di chi cade e si rialza, come Maradona, non quello di chi non cade mai. Fa più danni l’elogio della purezza di quello della fragilità umana». Gembillo in rapido disimpegno kantiano: «L’esempio etico conta, il vostro amore per Diego non deve oscurare questa verità». Nicolaus, con fallo da ultimo uomo: «Io dico che il Maradona uomo è ancora meglio del calciatore». Al triplice fischio dagli spalti, equamente divisi tra peleisti e maradoniani, è piovuta una salva di domande.

C’era voglia di tempi supplementari, la discussione è stata bella e divertente. Ma incombeva la lectio magistralis su «Arte e cultura postmoderna» di Danilo Santos De Miranda, brasiliano ma non calciatore, direttore generale del Sesc di San Paolo. Comunque non erano ammesse divagazioni. «O Maradona o Pelé» hanno intimato Nicolaus e Gembillo in un tentativo finale di fair play. Qualcuno, citando penosamente l’olandese Spinoza per nascondere le proprie passioni milaniste, ha domandato se non era il caso di considerare Marco Van Basten come possibile incomodo. L’articolo che state leggendo è la prova che all’incauto richiedente è stata almeno risparmiata la vita.


08 ottobre 2011 16:35

http://www.corriere.it/sport/11_ottobre_08/meglio-pele-o-maradona-neanche-i-filosofi-sanno-rispondere_f4f4acd6-f173-11e0-8be4-a71b6e0dfe47.shtml