Il Pd e le radici della democrazia*
Il saggio di Ernesto Paolozzi colma una lacuna, evidenziata dal processo costitutivo del Partito Democratico. Indaffarati a miscelare uomini e cariche in alambicchi modello prima repubblica, i dirigenti della neonata formazione hanno dimenticato le famiglie di pensiero a cui riferire l’azione quotidiana e, magari, di lungo periodo. Per Paolozzi, che da sempre sposa una divornte passione politica con il gusto dell’analisi, nel XXI secolo il Partito Democratico dovrà conservare la crema del libralismo, del socialismo e del cattolicesimo progressista: tra le grandi ricette della cucina culturale novecentesca. Necessiterà, egli sostiene, di una fantasia combinatoria sottile e spregiudicata, in grado di costruire una forma e una pratica rinnovate di democrazia: istituzionale ed economica, innanzitutto. Lo chiedono a voce alta quei milioni di cittadini che hanno scandito con un’attiva partecipazione, fenomeno davvero singolare nelle recentissime vicende civili europee, il ritmo del varo. Costoro pretendono di conoscere le bussole, che permetteranno alla nave di veleggiare, senza scossoni.
Paolozzi ne indica una, uno strumento di altissima precisione, tarato per l’occasione da artigiani diversi: il crocianesimo, letto alla luce della teoria della complessità. Mi sembra una proposta intelligente e provocatoria, purché dietro il fascino delle parole si nasconda una rudezza concettuale, buona per raccogliere le sfide poste al riformismo dai tempi complicati in cui viviamo. Va bene la fine delle ideologie: basta con gli sforzi per immaginare paradisi in terra, che la trasformano inevitabilmente nel peggiore degli inferni. Ottimo l’appello alla responsabilità dei singoli, al faro della libertà individuale che rischiara il senso della lotta per un mondo ogni giorno migliore, non domani. Via libera, insomma, per un tragitto nella Storia all’insegna dell’incertezza, della fallibilità, del continuo, affascinante mutare dei punti di vista. E’ il portato di quella tradizione liberale a cui Paolozzi coerenemente si rifà, sin da quando indossava i calzoni corti: in periodi, bui, di eskimo e spranghe. Il problema è salvare la capra della libertà e i cavoli della giustizia sociale o dell’obbedienza ad altri imperativi: religiosi, per esempio. Qui il discorso dell’autore è decisamente buonista, a mio parere eccessivamente fiducioso nella possibilità di un’immediata conciliazione. Pure, da tali difficoltà occorrerà ripartire, perché le idee, non il potere, sono il duraturo collante della politica.
Marco Lombardi
da “la Repubblica Napoli” del 29 dicembre 2007