Pd, regole chiare per i nuovi circoli.

L’analisi, severa ma purtroppo veritiera, di Giustino Fabrizio sullo stato del partito democratico a Napoli merita una riflessione e, mi auguro, un ampio dibattito.

E’ vero, in pochi mesi si è dissipato l’entusiasmo delle primarie e, almeno al grande pubblico, il nuovo Pd sembra troppo spesso incarnare una lotta per un potere che ormai sa solo di autoreferenzialità.

Probabilmente, non è nemmeno proprio così, ma certamente così appare e, in politica, ciò che appare vale almeno quanto ciò che è.

La falsa contrapposizione vecchio-nuovo si è rivelata distruttiva ed è ritornata come un boomerang a colpire il cuore del processo politico.

La distinzione da operare deve essere quella fra idee, sensibilità, possibilmente progetti che, vecchi e nuovi dovranno esibire o, quando fossero già concepiti, rendere noti all’opinione pubblica.

Mi provo allora, sul terreno della partecipazione alla vita democratica, a proporre un’analisi. Il parziale fallimento non può essere attribuito totalmente alla “cattiveria” di alcuni personaggi politici (ognuno scelga liberamente il proprio bersaglio polemico) ma, temo, al metodo con il quale si sta procedendo. Metodo che, come ho già altre volte detto, investe la concezione stessa partito nel suo complesso.

La scelta di fondo dev’essere fra la costruzione di un partito democratico-plebiscitario o di un partito democratico liberale e progressista, posizione alla quale accenna anche Giuseppe Ossorio richiamandosi opportunamente a Giovanni Amendola, fra i primi oppositori del fascismo e prefiguratore di una nuova democrazia per il nostro paese.

Si è parlato, in questi giorni convulsi, della proposta di costituire ottomila circoli del Pd in tutt’Italia. Immagino che con questi si vogliano sostituire le vecchie sezioni. Ma la domanda è: come si devono costituire questi circoli, e che funzione dovranno avere?

La scelta iniziale delle primarie, infatti, è stata una scelta importante, che ha messo in gioco, soprattutto, l’aspetto emotivo e passionale della politica, aspetto che non si può, e non si deve in alcun modo, emarginare. I cittadini hanno voluto testimoniare con il loro voto, con le lunghe file ai seggi, la volontà di fondare un nuovo partito e di partecipare alla sua vita.

Ma trasformare questa ondata di entusiasmo in un permanente e costante impegno politico è tutt’altra cosa.

La discriminante è il metodo riformista e liberale, che consente un reale incontro fra le pluralità culturali di cui il nuovo soggetto politico si compone; che garantisce le minoranze e dunque la regola dell’alternanza, al governo del partito e nelle assemblee elettive. In altre parole, un partito vivo, capace di interpretare e guidare i grandi e rapidi processi reali.

L’esigenza vera, oggi, è quella di portare la ricchezza delle primarie all’interno di un vero e proprio nuovo partito, che si può costruire soltanto attraverso un Congresso, in cui vengano dibattuti problemi veri e reali, attorno ai quali ben venga la divisione fra maggioranza e minoranza a patto che entrambe siano garantite da regole chiare e pubbliche.

Il partito che si dovrà costruire deve nascere da un’intelligente e misurata combinazione fra eletti, militanti, associazioni tematiche e territoriali e, naturalmente, dai cittadini.

Se si continuerà a percorrere la strada intrapresa, costruiremo quel partito liquido che nessuno vuole e che, soprattutto a sinistra, non troverà, per antica tradizione dei nostri elettori, il consenso necessario per essere un partito a vocazione maggioritaria.

Quando siamo stati chiamati alle primarie, infatti, non sapevamo di eleggere un partito comprensivo dei suoi apparati. Abbiamo votato una Costituente, non un già costituito. E ci aspettiamo oggi di poter contribuire alla formazione del gruppo dirigente e dei programmi, concreti ed effettivi, sul terreno di un ampio, vero dibattito politico che ci faccia percepire il Partito democratico come il nostro partito.

Solo così si può rispondere alla domanda posta da Giustino Fabrizio circa il destino del Pd, che non può restare chiuso in una dimensione in tutto autoreferenziale che, di fatto, delegittima il partito appena nato.

Ernesto Paolozzi

da “la Repubblica -Napoli” del 6 dicembre 2007                                                                                                                          Repubblica archivio