Chi sono i veri fannulloni tra di noi
I dipendenti pubblici (gli statali!) non hanno mai goduto di buona stampa e nemmeno di buona letteratura.
Da Gogol al nostro Paolo Villaggio, che ha scolpito la figura di Fantozzi, indelebile nel nostro immaginario, nella memoria collettiva di tante generazioni.
Ma, come sempre accade nell’ arte, l’ amarezza e l’ ironia, il disprezzo e la pietà si intrecciano indissolubilmente. Noi vogliamo bene a Fantozzi, è uno di noi, sta dentro di noi. Chi oserebbe veramente fargli del male? Pensateci: qualcuno di voi avrebbe il cuore di licenziare il ragionier Fantozzi e far soffrire la signora Pina, tragica, dignitosa moglie di un ideal tipus di impiegato, pubblico e privato che sia? Una vera eroina dei nostri tempi, moderna Penelope, fedele, costantemente fedele nelle quotidiane, piccole e misere disgrazie fantozziane.
Ma, poiché viviamo oggi in un momento in cui l’ evangelica adultera sarebbe stata certamente lapidata a piazza del Duomo, a un senatore progressista, nonché professore, è venuto in mente di marchiare i nostri dipendenti pubblici col tragico nome di «fannulloni».
Pochi lo ricordano ma, da sinistra a destra, il vento si è alzato e rafforzato, e non è parso vero a un ministro del neosocialismo conservatore, nonché professore, di cogliere al volo l’ opportunità: così, ha impugnato la bandiera dell’ antifannullismo mietendo successo di pubblico e di critica.
Naturalmente non è cambiato nulla, come a tutti è dato constatare, nella nostra amministrazione pubblica e i due professori i quali, in quanto tali e secondo il loro pensiero, provengono dal più luccicante fannullonismo, non sono riusciti a incidere, più di tanto, sulla dura realtà. Perché? Perché è l’ approccio che è sbagliato. Se ne discute oggi alle 17 in un convegno organizzato da Energie Nuove all’ Istituto italiano per gli studi filosofici, in occasione della presentazione del bel volume curato da Antonino Leone e Mita Marra, Frantumi da ricomporre. Riforme legislative e innovazioni di management per migliorare la produttività delle organizzazioni pubbliche. Vi partecipano Antonio Basile, Angela Cortese, Bartolo Costanzo, Giovanni De Falco, Vincenza Esposito, Renato Mele.
L’ approccio è sbagliato perché la nostra società, che sempre più assume i connotati dell’ ingenerosità e del cinismo, terra di cultura del moralismo, preferisce punire, sfogare la rabbia, anziché risolvere le questioni. Nella presentazione si legge:
«Lo stato della Pubblica amministrazione italiana è una delle più accreditate fonti dell’ antipolitica. Che a sua volta genera spinte del tutto aleatorie, demagogiche, populiste o giustizialiste che rendono il campo pubblico ancora più refrattario e resistente all’ affermazione di un riformismo moderno. È un continuum senza freno. Ma il male italiano è soprattutto politico. Sta nella tradizionale modalità di approccio alla riforma del sistema pubblico: verticismo, normativismo, centralismo, e per di più incrementale e disordinato, secondo l’ idea sbagliata che un così ampio ventaglio di amministrazioni, servizi, strutture sanitarie e formative possa essere trasformato calando dall’ alto una pesante e prescrittiva camicia di forza uguale per tutti. Nella convinzione che occorra sempre di più obbligare, regolare, plasmare, piuttosto che liberare, semplificare, ridurre, alleggerire, velocizzare, decentrare, responsabilizzare. Le mitologie e le demagogie prevalenti, le spettacolarizzazioni dei mali del lavoro pubblico costituiscono ormai una crosta che nasconde la realtà e priva di concretezza e realismo progetti e proposte che meriterebbero altri destini. Soprattutto tiene sottotraccia una messe di riflessioni, esperienze, fatti, fenomeni e persone che costituiscono la costellazione dei cambiamenti reali che è ben più ricca di quello che appare».
Antonino Leone e Mita Marra si rivolgono alle questioni della Pubblica amministrazione con la consapevolezza di chi ha una provata esperienza in materia.
Ma, per tornare al suggestivo titolo del libro, i frantumi da ricomporre non sono solo quelli legati alla burocrazia: è il tessuto stesso della nostra società ad avere urgente bisogno di una ricomposizione innanzitutto ideologica o, meglio, ideale, dopo anni e anni di odio, disprezzo e rancore sparsi a piene mani dal mondo politico e da una parte del mondo della cultura. Dalla politica scolastica a quella dell’ immigrazione, dalla concezione nostrana del federalismo al ritornante antifemminismo, il filo rosso che lega metodologicamente la nuova ideologia imperante è la cifra dell’ ingenerosità. E non solo il sonno della ragione, ma anche quello della generosità, genera mostri.
Ernesto Paolozzi
Repubblica – 10 dicembre 2009 pagina 1 sezione: NAPOLI Repubblica archivio