Se lo Statuto è davvero in salita.

E’ paradossale: mentre il sistema politico italiano conosce, in fondo, i maggiori rivolgimenti politici ed istituzionali degli ultimi cinquant’anni, il dibattito politico si infiamma per tematiche ampiamente consegnate alla storiografia. Così il Consiglio regionale si macera e si lacera sul valore da dare all’antifascismo nel momento in cui è chiamato a redigere un nuovo Statuto il quale, a seguito della riforma costituzionale di vago stampo federalista, dovrebbe diventare una vera e propria Carta costituzionale di un Ente che afferma la sua autonomia e potenzia la sua capacità legislativa ed amministrativa.

Dobbiamo dire che, già dal suo nascere, la discussione attorno allo Statuto è nata male, per una confusione di fondo che, per molti aspetti, si riflette perfino sul piano stilistico, sul tono della prima bozza del documento.

Confusione fra principii di fondo e intenzioni programmatiche le quali ultime, francamente, non dovrebbero comparire in un atto fondativo in certo qual modo solenne e valoriale. Come si è detto felicemente, lo Statuto dovrebbe poter essere letto nelle aule scolastiche come esempio, per le giovani generazioni.

E’ stato anche detto, ma è utile ribadirlo, che il ragionamento dovrebbe ruotare attorno a quei grandi principii, quali quello della libertà, della tolleranza, della giustizia, che segnano in positivo la nostra epoca mentre sarebbe prudente abbandonare i richiami ai totalitarismi che hanno offuscato il Novecento. Altri sono, semmai, le drammatiche questioni che si affacciano all’orizzonte e che bisogna prepararsi a fronteggiare.

Vi sono poi altre questioni, che riguardano gli ingranaggi del nuovo assetto dell’ordinamento istituzionale, forse meno altisonanti ma non per questo di minore importanza, che non devono essere oscurate da polemiche certamente sentite ma non per questo, a nostro avviso, meno esagerate e nocive.

In un limpido saggio, La Regione in salita, pubblicato da Guida, Giuseppe Ossorio tematizza, ad esempio, alcuni temi veramente centrali e si prova a fornire un’architettura complessa e organica al fine di garantire un corretto e democratico funzionamento dell’istituzione cercando di guardare al di là della particolare contingenza, ossia dell’interesse di questa o di quella forza politica, di questo o quello schieramento. Fra i temi toccati ci sembra di particolare rilevanza quello del rapporto fra Consiglio regionale e Giunta. Rapporto delicatissimo, in un clima politico-istituzionale, come quello che viviamo, nel quale le assemblee democraticamente elette del popolo, dal Parlamento europeo a quello nazionale fino ai Consigli regionali, provinciali e comunali, sembrano deperire ed essere messe in secondo piano rispetto a poteri forti ai quali si concede uno spazio decisionale molto ampio.

Non vi è dubbio, come nota Ossorio, che nell’ultimo decennio il segno del percorso politico sia stato quello di privilegiare l’efficientismo, delle scelte rapide da parte degli esecutivi.

E che l’efficienza sia un valore non lo nega Ossorio né chi scrive e, probabilmente, nessuna persona di buon senso. Ma è altrettanto vero che l’efficienza, per così dire, non rappresenta, in sé e per sé, un valore, giacché molto efficienti furono spietati dittatori come Hitler e Stalin. La verità è che l’efficienza deve piegarsi alle ragioni della democrazia e non mai viceversa. La scelta etico-politica in un sistema autenticamente liberaldemocratico spetta sempre ai cittadini e dunque a coloro che, legittimamente, li rappresentano. E, in una democrazia veramente liberale vanno ancor più rispettate le esigenze delle minoranze, di qualsiasi tipo esse siano.

E’ questo il problema di fondo dei sistemi politici di stampo maggioritario e fortemente personalizzato (elezione diretta del premier, etc.), per cui è sempre prudente, vorremmo dire lungimirante, costruire un sistema di pesi e contrappesi istituzionali che potranno forse, in qualche momento, rallentare le scelte ma certamente garantiscono la libertà e la democrazia.

Forse di questo dovrebbero occuparsi soprattutto i consiglieri regionali e, con loro, gli intellettuali, se ancora ne avessero voglia.

Ernesto Paolozzi

Da “la Repubblica” del 16 dicembre 2003

Repubblica archivio