Statistiche attenzione a confondere politica e realtà

Un economista americano ha sostenuto recentemente una tesi che ha suscitato aspre polemiche e profondo imbarazzo. Steve Levitt avrebbe messo in correlazione la legalizzazione dell’aborto avvenuta agli inizi degli anni Settanta negli Stati Uniti con la sorprendente diminuzione della criminalità negli anni Novanta, E’ evidente che questa tesi può dar adito ad accuse di razzismo anche perché all’aborto legale hanno fatto ricorso fondamentalmente donne di colore per evitare gravidanze indesiderate.

Non vogliamo discutere, in questa sede, la probabilmente bizzarra teoria iperlombrosiana dello studioso americano. Ma vogliamo prenderne spunto per metterci, e mettere, in guardia circa l’importanza che negli ultimi anni conferiamo ai cosiddetti dati statistici.

Facciamo ancora qualche considerazione preliminare. Quasi tutti gli analisti sono stupiti dal fatto che mentre gli indicatori economici degli Stati Uniti e della Francia erano, negli anni passati, estremamente favorevoli, i partiti che hanno governato in quei due paesi non sono riusciti a capitalizzare in termini elettorali quei successi. Si è parlato di netto divario fra percezione dell’andamento economico e percezione dello stato politico. Si è posta dunque la questione, ad esempio, se fosse possibile considerare effettivamente il PIL, ossia la ricchezza prodotta, di un paese come il parametro effettivamente valido per interpretare il progresso di quel paese stesso. C’è di più. E’ veramente calcolabile il prodotto interno lordo? In secondo luogo, sono veramente probanti i dati statistici in generale?

Molti sostengono che se a Napoli, ad esempio, si reprimesse il contrabbando di sigarette così come avviene in altri paesi, Napoli diventerebbe immediatamente la città con il maggior tasso di criminalità del mondo. Viceversa, se si legalizzassero le droghe leggere, molti grandi centri urbani, da Milano alla stessa Napoli, salirebbero in graduatoria in quelle ridicole statistiche che si fanno circa la qualità della vita nelle città italiane. Se per i giovani in Italia si adottassero gli stessi criteri americani circa i limiti posti al consumo di bevande alcoliche, di nuovo potrebbe impennarsi il tasso di criminalità giovanile.

Tutti stiamo sperimentando, in termini d’inquinamento, che in molti casi si tratta di puri giochi: improvvisamente un governo decide che il metro di misurazione d’inquinamento dell’acqua va modificato e, come d’incanto, fiumi e laghi ridiventano puri o viceversa.

Cosa si vuol sostenere? Bisogna forse abolire le ricerche statistiche, ignorare tabelle e diagrammi? No. Ma guardarli con spirito critico, interpretarli, assolutamente sì. Si comincia ad avere la sensazione che, come una volta il potere politico utilizzava la religione come instrumentum regni, oggi si usano dati rigorosamente scientifici (che rigorosi, come si è visto, non sono) per legittimare politiche di un certo tipo e di una certa natura. Alla lunga, naturalmente, si finisce con il confondere l’astrazione della realtà per la realtà stessa, la finzione numerica messa in atto per reale sostanza, per cui anche gli uomini politici più attenti e acuti sbagliano ad interpretare le reali condizioni del paese in cui vivono. Si allarga, dunque, profondamente, quel divario fra percezione politica e percezione della realtà di cui si è accennato.

I dati statistici possono essere e sono uno strumento utile. Ma, al solito, è necessario che siano sottomessi al giudizio storico, all’impegno etico-politico. Che sia aumentato il PIL di una nazione importa poco alle persone che sono state licenziate da un’azienda, così come il crollo di una borsa non preoccupa affatto gli speculatori e i finanzieri più spregiudicati.

Se guardiamo alle ultime polemiche suscitate dal ripensamento del meridionalismo, ci accorgiamo che più che di polemiche fra dialoganti, si tratta di discussioni fra monologanti, fra monadi senza né porte né finestre. Ciò è dovuto, a mio avviso, anche alla frantumazione dei metodi d’indagine e al crollo delle tensioni ideali. Anche la questione meridionale potrà ritornare attuale solo se si ripartirà dal primato dell’etica e della politica.

Ernesto Paolozzi

Da “Corriere economia” del 21 maggio 2001