Profilo di Tocqueville 

Nessun filosofo, scrittore o studioso, è attuale o inattuale. Contemporanei diventano piuttosto quegli autori che hanno agitato temi e problematiche che la storia ripresenta, sia pure in modi e forme diversi.

Così, oggi, ritorna prepotentemente all’attenzione il pensiero di Alexis de Tocqueville, per cui il bicentenario della sua nascita non è soltanto un pretesto per riconsiderare la sua importante opera.

Il magistrato francese, dedicatosi alla politica (con poca fortuna) e agli studi storico-giuridici e, in senso ampio, sociali, alla metà dell’Ottocento, viaggiando negli Stati Uniti d’America, comincia a scorgere i tratti essenziali di quella grande democrazia e, col tempo, ne disegna caratteristiche e limiti. Nasce quella Democrazia in America che è un classico fra i classici della letteratura politica e rappresenta un punto di riferimento essenziale per chiunque voglia occuparsi del più generale tema della natura e del destino della democrazia come sistema politico.

Se oggi volessimo mettere in fila, quasi come in un ideale indice per un libro attualissimo, gli argomenti fondamentali della crisi, ma anche della possibile rinascita, della democrazia nel mondo occidentale, li ritroveremmo quasi tutti discussi dal grande studioso francese.

Tocqueville scorge come la democrazia sia innanzitutto un processo storico-politico per tanti aspetti inarrestabile. Si rende conto che essa rappresenta un segno evidente della modernità, al di là di quelli che possono essere i legami teorici o formali con la democrazia ateniese. Comprende i nessi strettissimi fra il principio politico della eguaglianza democratica con quello dello sviluppo economico del capitale, della conseguente, ampia fusione del benessere economico fra sempre crescenti strati della popolazione. Mette in evidenza come la crescita e l’affermazione della democrazia non riguarda soltanto il mondo politico in senso stretto, né investe esclusivamente la sfera giuridico-istituzionale ma è un fenomeno che diremmo essenzialmente sociale, culturale in senso quasi antropologico, tale da attraversare l’intera società in tutte le sue articolazioni coinvolgendo, ad esempio, pienamente le donne che, nella sua Europa, anche nei paesi più progrediti, erano ancora largamente ai margini della sfera pubblica.

Ma se tutto ciò è vero, ed è un fenomeno di portata epocale, è altrettanto vero che la modificazione profonda della società porta con sé non pochi problemi, non pochi rischi e, fondamentalmente, è il sistema stesso delle libertà moderne che torna ad essere messo in discussione dal nuovo, prepotente, insorgere del sistema politico americano.

Non vi è dubbio, diciamolo subito, che la libertà, allora come oggi, trovi nella democrazia un modo di essere e, probabilmente, il modo di attuarsi più radicale e complesso che la storia abbia fino ad ora conosciuto. Ma trova anche nella democrazia un limite e, in alcuni momenti di eccessiva espansione della democrazia stessa, il pericolo per la sua stessa sopravvivenza.

L’analisi di Tocqueville è, su questo terreno, acuta ed originale; si colloca senz’altro come capostipite delle riflessioni sulla civiltà di massa e sul totalitarismo condiviso da larghi strati della popolazione. Penso, per non citare altri, ad Ortega J Gasset e ad Hannah Arendt. Tocqueville non usa toni apocalittici né snobismi intellettuali. Tanto meno si abbandona a forme di irrazionalismo storiografico o politologico. Con pacata fermezza avverte invece come lo svilupparsi stesso della democrazia possa condurre alla creazione di uno Stato paternalistico, a suo modo oppressivo o, almeno, invadente al punto tale da ridurre le libertà politiche ed insediare le stesse libertà individuali. Può, per usare una sua celeberrima espressione, tramutarsi in dittatura della maggioranza. E ciò non soltanto perché una presunta maggioranza di elettori democratici possa poi violare i diritti delle minoranze e dei singoli individui, ma perché è la mentalità stessa della democrazia a favorire questo processo di immiserimento della libertà.

E’ il conformismo, in poche parole, l’omologazione, il livellamento verso il basso della creatività, delle aspirazioni e dello spirito critico che trova, nel sistema democratico, un inaspettato alleato. Si può far tutto, in democrazia, eccetto che parlar male del popolo, del gusto del popolo, della gente, come si dice nei nostri giorni, insomma di quella mentalità diffusa che non ha nome o cognome ma circola e finisce col predominare e dominare. Se ciò accade, quando ciò accade, la libertà è in pericolo. E Tocqueville avverte, già alla metà dell’Ottocento, come l’ “industrialismo” che lentamente si impossessa anche del mondo della cultura, sia un elemento fondamentale di questo processo di impoverimento delle coscienze e delle intelligenze.

Si deve dir altro per comprendere quanto sia oggi Tocqueville un nostro contemporaneo? Non è un caso che, dopo una lunga fase di sostanziale disinteresse, si torni oggi ad occuparsi di Tocqueville in vario modo e in varia forma. E non è un caso che, negli anni Cinquanta, uno studioso come Vittorio de Caprariis, appartenente a quella irripetibile generazione di studiosi di Croce impegnati, forse invano, a svecchiare la cultura italiana, abbia dedicato un esemplare saggio allo studioso francese, Profilo di Tocqueville, ristampato qualche anno fa dall’editore Mario Guida.

Ernesto Paolozzi