Vincenzo Cuoco

(voce del Dizionario del Liberalismo Italiano (tomo II) – Rubbettino, 2015)

“La nostra rivoluzione essendo una rivoluzione passiva, l’unico mezzo di condurla a buon fine era quello di guadagnare l’opinione del popolo. Ma le vedute de ’patrioti, e quelle del popolo non erano le stesse: essi aveano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse. Quella stessa ammirazione per gli stranieri, che avea ritardata la nostra coltura ne’ tempi del re, quella istessa formò nel principio della nostra repubblica il più grande ostacolo allo stabilimento della libertà. La nazione napoletana si poteva considerare come divisa; due popoli, divisi per due secoli di tempo e per due gradi di clima. Siccome la parte colta si era formata su modelli stranieri, così la sua natura era diversa da quella di cui abbisognava la nazione intera, e che poteva sperarsi solamente dallo sviluppo delle nostre facoltà “ Saggio sulla rivoluzione di Napoli del 1799” (1801-1806)

E’ questa la celeberrima affermazione di Vincenzo Cuoco che connota il senso profondo della sua analisi storico filosofica, della sua posizione politica: lo storicismo di origine vichiana e il liberalismo gradualista e antigiacobino.

Nato a Civita Campomarano in Molise nel 1770 da famiglia piccolo borghese (la madre si chiamava Colomba De Marinis, il padre Michelangelo avvocato e studioso di economia) muore a Napoli nel 1823 in uno stato di latente follia.
Imparentato con la famiglia Pepe si forma in ambienti illuministi molto attivi nella viva cittadina molisana. Si trasferisce a Napoli per intraprendere gli studi giuridici. Non li porta a termine appassionandosi sempre più alla ricerca filosofica, alla letteratura, alla storia e all’economia. Lui stesso ricorda come sulle deliziose colline di Posillipo, siti cari a Virgilio e a Sannazaro, avesse passato i giorni più belli della sua vita discorrendo di arte e di letteratura. Eppure in quegli stessi anni intraprende la lettura di Machiavelli, di Pagano, di Vico e attraverso la mediazione del Galanti suo amico, legge Genovesi. Si forma, in questa temperie culturale, la sua concezione storicista del liberalismo che si concretizzerà nel suo impegno politico e troverà molte conferme nelle vicende storiche che preparano il Risorgimento italiano.

Vincenzo Cuoco non ebbe un ruolo di spicco nella Rivoluzione napoletana del 1799 che condusse alla breve vita della Repubblica e alla sua tragica fine. Fu coinvolto soltanto marginalmente anche perché sin dall’inizio non condivideva totalmente i principii e i metodi dei nobili rivoluzionari verso i quali dopo il martirio, mostrò una commossa e sentita riverenza. Ma quel coinvolgimento gli costò la confisca dei beni e la condanna a venti anni di esilio.
Durante il viaggio in nave verso Marsiglia (fu esule a Parigi e a Milano) concepì e scrisse il fondamentale Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 pubblicato per la munificenza di un amico nel 1801 e riveduto nel 1806. E’ questa un’opera capitale della storiografia etico-politica al pari delle Reflections di Burke ma è anche, se non soprattutto, un’opera di filosofia politica.

Il fallimento della Rivoluzione di Napoli, dei giacobini e dei loro alti ideali di umanità e giustizia dovuto non soltanto alla reazione della monarchia borbonica e del Clero, ma anche alla rivolta di vasti strati popolari, contadini e plebe, la tragica guerra fratricida fra i due popoli, poteva essere compreso, secondo Cuoco, soltanto rintracciando i motivi profondi che condussero alla svolta repubblicana.

L’errore principale commesso dai patrioti repubblicani napoletani fu quello, per Cuoco, di aver ritenuto possibile trasporre e in certo qual modo imporre, le idee e i programmi della rivoluzione francese ad una nazione diversa per storia, costumi, ideali religiosi e politici. Errore capitale che non poteva che condurre alla sconfitta. “Le idee della rivoluzione di Napoli, scrive nel Saggio, avrebbero potuto esser popolari, ove si avesse voluto trarle dal fondo istesso della nazione. Tratte da un costituzione straniera, erano lontanissime dalla nostra; fondate sopra massime troppo astratte, erano lontanissime da’ sensi; e, ch’è più, si aggiungevano a esse, come leggi, tutti gli usi, tutt’i capricci e talora tutt’i difetti di un altro popolo, lontanissimi dai nostri difetti, dai nostri capricci, dagli usi nostri. Le contrarietà e i dispareri si moltiplicavano in ragione del numero delle cose superflue che non dovevano entrare nel piano dell’operazione, e che intanto vi entrarono”

La rivoluzione napoletana è una rivoluzione passiva ossia subita dal popolo, imposta senza reale partecipazione perché pur essendo ispirata da principìì liberali, democratici e popolari rimase estranea a quel popolo che si voleva emancipare. Con molto acume il pensatore distingue due fasi nello stesso processo rivoluzionario francese: una prima attiva, condivisa e rispettosa della storia, una seconda, quella del Terrore, passiva, destinata al fallimento per gli stessi motivi per cui fallirà quella napoletana.

L’interpretazione cuochiana mostra inequivocabilmente i segni della sua formazione machiavelliana e vichiana che tempera e compie la visione illuministica preponderante in quei tempi. Non si può ignorare la realtà effettuale per usare l’espressione machiavelliana, non si può ignorare la storia intesa vichianamente come la palpitante, concreta complessità della vita che si sviluppa nel tempo secondo l’indissolubile intreccio di reale e ideale, di ragione e sentimento, di tradizione e innovazione.
In questa prospettiva la visione generale di Vincenzo Cuoco che pure ha qualche precedente nella cultura politica del suo tempo, si mostra innovativa sul terreno filosofico e si colora, sul versante politico di tinte moderate. Si delinea un liberalismo diverso da quello illuminista di origine empirista o razionalista, un liberalismo storicista che negli anni successivi costituirà il nerbo del liberalismo nazionale che condurrà al Risorgimento. Si comprende, in questo quadro e non dimenticando la tragica fine della Repubblica napoletana, la sua sostanziale adesione alla monarchia costituzionale come forma di governo maggiormente desiderabile. In questa visione trova una sua spiegazione il giudizio sostanzialmente favorevole sull’opera di Napoleone, altrimenti discutibile. Bonaparte è avvertito non come il despota ma come il politico che consentiva una ordinata e dunque possibile evoluzione in senso liberale della società nel suo complesso.

Collaborò fattivamente con Giocchino Murat, fu direttore del Tesoro , redasse un Progetto di decreto per l’ordine della pubblica istruzione del Regno di Napoli (1809) e, grazie alla sua prospettiva gradualista, poté collaborare anche con i Borbone ritornati al potere . Negli ultimi anni, deluso e avvilito, fu preda di disturbi psichici e fu costretto ad abbandonare per sempre i suoi ideali .

Il suo impegno politico in senso stretto fu sempre accompagnato non solo dalla riflessione filosofica e storiografica, ma da una costante preoccupazione pedagogica tesa a mettere la società, gli strati popolari in particolare, nelle condizioni di poter partecipare attivamente alla vita sociale e politica. Questa propensione di derivazione illuministica rispondeva anche all’esigenza storicistica del Cuoco, infatti per educazione non si deve intendere l’imposizione di principii astratti, di idee generali, ma il lento e graduale processo che conduce una comunità alla piena consapevolezza della sua storia, del suo livello di civiltà. Un’educazione che consente di costruire il futuro su basi solide e durature. Partire, come diceva, dai bisogni reali di un popolo e, solo tenendo in conto questa realtà effettuale, costruire una cultura avanzata, progressiva.

Quella di Vincenzo Cuoco era una prospettiva moderata, in pedagogia come in politica, o riformatrice, se si vuole, riformista? Certamente storicista e liberale se vogliamo uscire da una dicotomia fondata su presupposti essenzialmente ideologici.
Nel Programma del “Giornale italiano”, del 1804, Cuoco si proponeva di condurre gradualmente gli italiani dalle “provincie” allo Stato nazionale. Si trattava non tanto di conservare lo spirito pubblico, diceva, ma di crearlo e, in quest’opera di creazione, tenere presenti le condizioni reali delle province. In tale prospettiva era necessario rinverdire le memorie del tempo passato, del grande passato italiano; misurarsi col pensiero delle altre nazioni; mettere in luce le nostre qualità in tutti i campi, dalle bellezze naturali a quelle artistiche e culturali. Bisognava, in altri termini, creare le condizioni per avere “fiducia di esser buoni e, dunque, far nascere il desiderio di divenire ottimi”.

Non vi è dubbio che soltanto da questi pochi accenni si possa comprendere come Cuoco, che non a caso affidava queste sue riflessioni a Francesco Melzi d’Eril, Vicepresidente della Repubblica italiana, anticipasse e, in certo qual modo prefigurasse, il futuro impegno risorgimentale. Il giovane Giuseppe Mazzini fu sicuramente a conoscenza degli scritti del grande esule molisano il cui pensiero influenzò direttamente e indirettamente molti protagonisti del movimento rivoluzionario nazionale.
Anche da questo punto di vista si pone la questione del cosiddetto moderatismo italiano del quale Cuoco sarebbe stato un precursore, colui il quale spianò la strada. Anche in questo caso, si tratta di intendersi sul significato del termine moderatismo. Se con esso si allude al gradualismo storicistico, ad una versione non dottrinaria, o giacobina, del liberalismo, si può certamente consentire. Ma è indispensabile sottolineare come siano rintracciabili nella posizione cuochiana i prodromi di quel grande moto rivoluzionario, il Risorgimento italiano, che condusse all’unità del paese.

La dimensione pedagogica di Vincenzo Cuoco torna nel Platone in Italia, un’opera, si potrebbe affermare, di etica pedagogica, non sempre attendibile sul piano storiografico, ispirata al Vico nella quale si riprendono temi già presenti nelle Lettere a Vincenzo Russo e nel Saggio, ma riconsiderati in una visione meno limpida e precisa anche se certamente più complessa. E’ ripreso e ampliato il tema del primato degli italiani, tema che sarà centrale nel Risorgimento : precursore anche in questo caso.

Il liberalismo storicista di Vincenzo Cuoco si colloca dunque fra le posizioni più originali della storia del liberalismo anche se non scrisse mai un’opera di pura dottrina politica. La sua originalità consiste nell’essere riuscito, mettendo in circolo la grande tradizione filosofica che va da Machiavelli a Vico, a dar conto del dramma stesso della storia, di quella dialettica fra ideale e reale, fra il bene e il male sulla quale si costruirà la grande filosofia dell’Ottocento.

Scrive Croce connotando il senso profondo del pensiero e dell’impegno politico di Cuoco: “Il Cuoco veniva a questo modo a spiegare e giustificare così la rivoluzione come la reazione, dando di entrambe chiara la genesi. E, certo, siffatti giudizi parranno ora ovvii, e ovvii altresì quelli sulla rivoluzione di Francia; ma chi si riporti al tempo in cui furono enunciati, nelle carceri borboniche del ’99 e sul bastimento che trasportava a Marsiglia il Cuoco con altri patrioti scacciati dal Regno, non potrà non salutare in essi la prima rigorosa manifestazione del pensiero vichiano, antiastrattista e storico, e l’inizio della nuova storiografia, fondata sul concetto dello svolgimento organico dei popoli, e della nuova politica, la politica del liberalismo nazionale, rivoluzionario e moderato insieme.” (B. Croce, Storia della storiografia italiana, 1921)

Opere di Vincenzo Cuoco:
1)Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799, 1801 (II edizione riveduta, 1806).
2)Platone in Italia, 1803-1806.
3) Scritti vari, Bari, 1924, a cura di N. Cortese e F. Nicolini
4)Epistolario, 1790-1817, Bari, 2007
5)Scritti politico-giuridici, Bari, 2009, a cura di E. Di Maso
6) Pagine giornalistiche, Bari, 2011, a cura di F. Tessitore
7)Scritti sulla Pubblica Istruzione, Bari, 2012, a cura di L. Biscardi e R. Folino Gallo

Bibliografia
B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Roma, 1897
B. Croce, Storia della storiografia italiana nel secolo XIX, Bari, 1921
B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, 1924
G. De Ruggiero, Il pensiero politico meridionale nei secoli XVIII e XIX, Bari, 1922
G. Gentile, Vincenzo Cuoco, Venezia, 1927
M. Martirano, A Milano e a Napoli: biografia, cultura storica, filosofia in Vincenzo Cuoco, Sesto San Giovanni, 2011
R. Tassi, Itinerari pedagogici, Bologna, 2009
F. Tessitore, Lo storicismo di Vincenzo Cuoco, Pompei, 1965
F. Tessitore, Da Cuoco a De Sanctis, Napoli, 1988