A cosa può servire l’assessore alla cultura

Qualche giorno fa, prima che la campagna elettorale napoletana degenerasse, malauguratamente, in una campagna referendaria pro o contro il governo nazionale, Lucio D’Alessandro, da poco Presidente dell’Accademia delle Belle Arti, aveva lanciato una proposta che mi sembra il caso di rilanciare.

Ispirandosi all’esperienza di Roma, che ha affidato alle due Accademie della città il compito di valorizzare le opere comunali con la progettazione artistica, chiedeva ai candidati sindaci di prendere un impegno concreto in questo senso e proponeva, ancora, di includere nel progetto tutti i giovani che fanno parte di quello che si potrebbe definire Politecnico delle Arti (Architettura, Beni Culturali, Conservatorio).

Nei prossimi giorni si dovrà affinare il programma di governo della nuova Giunta comunale e, soprattutto, bisognerà costruire la rete degli assessorati e configurare il compito di ciascuno.

Per quanto riguarda l’Assessorato alla Cultura, mi sembrerebbe utile compiere una riflessione attenta, di metodo, circa quella che dovrebbe essere la sua funzione. Sono convinto da sempre e, se mi è consentita un’autocitazione, lo sostenni già qualche anno fa raccogliendo un certo consenso, che gli assessorati alla cultura, come del resto i Ministeri deputati ad analoghe funzioni, non devono entrare nel merito delle scelte culturali o artistiche se non in senso molto, molto, lato. Per intenderci: credo che nessun Ministro, nessun assessore, per bravo, onesto e capace che sia, possa e debba decidere se è bene finanziare questa o quella attività, questa o quella iniziativa, di carattere filosofico, scientifico, artistico che siano. Ritengo che nessun comitato di tecnici, per autorevole che sia, debba intervenire su scelte che sono, per loro stessa natura, di esclusiva competenza della società civile. Ho detto società civile, non mercato, come si potrebbe equivocare.

Nessuno di noi ha dimenticato, mi auguro, che qualche tempo fa, da parte di alcuni settori della maggioranza di centrodestra, si era proposta una revisione ministeriale dei libri di testo.

Giustamente, vi fu una levata di scudi in difesa della sacra e inviolabile libertà di insegnamento.                                                  Allo stesso modo, se gli assessorati alla cultura possono finanziare e promuovere discrezionalmente questa o quella singola iniziativa culturale, va da sé che, di fatto, si turba la libera concorrenza delle idee che non è la libera concorrenza del mercato, ma della creatività, della libertà di espressione.

Naturalmente, non si intende sostenere questa tesi fino all’estrema conseguenza di ritenere inutili, se non addirittura dannosi, quegli istituti. Vi sono singole iniziative, legate ad esempio a particolari celebrazioni, a iniziative sociali di particolare rilievo umanitario, che devono essere sostenute dall’intervento pubblico e, dunque, dalle amministrazioni regionali, provinciali e cittadine. E’ lapalissiano che Genova ricordi Cristoforo Colombo, che Napoli esalti la figura di Giambattista Vico, come è altrettanto evidente che qualunque altra città possa e debba finanziare iniziative culturali fondate sul volontariato per fini di solidarietà e di elementare umanità.

Ma da qui ad incarnare una sorta di corte suprema della cultura, ce ne passa.

Tanto più che, come sanno tutti gli studiosi e gli artisti autentici, le istituzioni culturali sembrano fatte apposta per mortificare l’originalità e la creatività a partire, malauguratamente, dalla scuola a finire all’Università, passando per tutte quelle che ognuno di noi può immaginare. Da questo punto di vista, le istituzioni di trasmissione della cultura sono un male necessario, generalmente conservatrici anche quando conservano ciò che una volta ha rappresentato il progresso, sottraendosi così all’immediato riconoscimento di questo loro carattere intrinseco.

La funzione, dunque, di un assessorato alla cultura che non voglia essere invasivo e condizionante, dovrebbe essere quella di svolgere un ruolo di censimento e monitoraggio delle tante risorse culturali ed artistiche diffuse in una città creativa come Napoli; di coordinamento e di supporto alle iniziative già esistenti sul territorio di competenza; di promozione di nuove iniziative attraverso la creazione di strutture adatte; di salvaguardia dei beni culturali.

Se ben si riflette, questa funzione, così delineata, avrebbe anche costi molto bassi giacché si identificherebbe con una funzione essenzialmente di servizio, più che non di gestione. Ecco, si potrebbe dire: dall’assessorato di gestione all’assessorato di servizio, in maniera che le iniziative lodevoli già avviate si possano coniugare con una più larga garanzia di libertà e di creatività in un momento in cui le risorse economiche sono sempre più scarse.

Mi auguro dunque che la proposta lanciata da Lucio D’Alessandro possa non cadere nel vuoto nei giorni in cui si deciderà il nuovo assetto della Giunta comunale della città.

Ernesto Paolozzi

da “la Repubblica” 31 maggio 2006 (sullo stesso tema si veda: ‘ Abolire gli assessorati alla cultura?‘)

Repubblica- prima-archivio