Lessico crociano. Un breviario filosofico-politico per il futuro, a cura di Rosalia Peluso (La scuola di Pitagora, 2016)
Nella prima fase del suo itinerario filosofico e del suo impegno civile, Benedetto Croce non si occupò del problema politico in senso stretto, se si fa eccezione del giovanile, appassionato interessamento al dibattito sul marxismo di fine Ottocento. Nemmeno si impegnò nella vita politica attiva (fatta eccezione per una breve esperienza amministrativa al Comune di Napoli) e la sua adesione al giolittismo non implicò una partecipazione diretta. E’ con la prima guerra mondiale che l’impegno del filosofo si esercita pienamente, sino agli ultimi giorni della sua vita, attraverso la partecipazione al governo Giolitti prima e l’opposizione morale al regime fascista fino all’elezione alla Costituente e alla partecipazione al governo del paese. Dal 1910 fu senatore.
Sul piano filosofico, con la Filosofia della Pratica, del 1908, si gettano le basi per una riflessione rigorosa e articolata sulla natura della politica che troverà nei volumi Elementi di Politica del 1925 ed Etica e politica del 1931 una dimensione specifica. Da allora Croce tornerà sul tema con tanti altri scritti, molti dei quali pubblicati ne “La Critica” e raccolti in varie sillogi, fino al volume Scritti e discorsi politici del 1943.
L’autonomia della politica
Per comprendere senza equivoci l’affermazione dell’autonomia della politica, concetto costantemente ribadito dal filosofo nella sua lunga attività speculativa, bisogna avvertire che la distinzione (l’autonomia) è considerata da Croce sempre in rapporto inscindibile con le altre attività della vita. Non separazione, ma distinzione logica nel necessario rapporto con l’unità o complessità della storia, della vita.
Nel caso specifico, la politica si presenta come una sfera autonoma dell’attività umana perché considerata come appartenente alla dimensione dell’utile o dell’economico per cui è fondamentale tener presenti, oltre ai testi specificamente dedicati ad essa, i fondamentali testi teoretici, la Logica e la Filosofia della pratica.
In Elementi di politica, sia pure indirettamente, il filosofo chiarisce bene il suo pensiero. Scrive:
L’azione politica non solo è azione utile, ma questi due concetti sono coestensivi, né si sarà mai in grado di addurre alcun carattere che distingua la prima nell’orbita della seconda. Se si richiede abilità politica per governare lo Stato o per capitanare un partito, ce ne vuole parimenti per governare la propria famiglia, ce ne vuole per annodare e coltivare relazioni di amore e di amicizia, ce ne vuole perfino verso gli animali, dei quali ci serviamo, e perfino verso le cose, posto che anch’esse obbediscono a leggi, e a lor modo (o a modo campanelliano) abbiano vita e senso. Cosicché, nel parlare come qui si fa di politica e di azioni politiche, s’intende semplicemente rivolgere l’attenzione a certi ordini di fatti che di solito hanno maggiore rilievo e porgono più di frequente materia a indagini e discussioni: ordini di fatti che non sapremmo logicamente delimitare entro l’infinita distesa dell’utile e pei quali ci riferiamo unicamente (e per fortuna basta al nostro fine) alla rappresentazione generale suscitata dal vocabolo politica. (1)
Si tratta, in buona sostanza, della riduzione della politica alla sfera dell’utilità (o dell’economico come pure si esprime Croce), considerata, dunque, come una categoria fondamentale della vita, autonoma come autonoma è la ricerca dell’utile individuale e, in questo senso, diversa, o meglio distinta dalla morale.
Perché non si ingenerino equivoci (come è accaduto), bisogna richiamare, sia pure brevemente, la filosofia crociana in generale e ricordare che il filosofo teorizzò la distinzione delle categorie fondamentali di cui si costituisce la nostra natura, distinguendo, fra categorie teoretiche, l’arte e la filosofia, e categorie pratiche, l’economica e l’etica. Le quali, però, (e questo è un passaggio fondamentale) non sono separate e chiuse in se stesse, ma sono sempre in relazione fra loro e ognuna spiega e motiva l’altra. L’unità nella distinzione e viceversa. L’uomo è sempre uomo intero, non è solo uomo teoretico o pratico, utilitario o morale e così via. Le funzioni attraverso le quali si sviluppano le infinte nostre attività si implicano e si intrecciano indissolubilmente nella realtà e sono distinte sul piano logico.
In questo quadro, già di per sé importante, acquista ulteriore rilevanza l’inclusione dell’attività utilitaria fra i valori positivi, la scoperta dell’utile come valore spirituale di cui Croce andava particolarmente fiero. Accanto agli antichi valori, vero, bello, bene si colloca con piena dignità l’utile. L’utile di per sé e in se stesso non è né buono né cattivo, ma utile e, in quanto tale, valore positivo. Scrive Croce accennando anche al rapporto con l’etica, ossia alle due categorie che compongono, nel suo sistema, il vasto mondo della prassi:
Attività economica è quella che vuole ed attua ciò che è corrispettivo soltanto alle condizioni di fatto in cui l’individuo si trova; attività etica, quella che vuole ed attua ciò che, pur essendo corrispettivo a quelle condizioni, si riferisce insieme a qualcosa che la trascende. Alla prima corrispondono quelli che si dicono fini individuali; alla seconda, i fini universali: su l’una si fonda il giudizio circa la maggiore o minore coerenza dell’azione per sé presa; sull’altra, a quello circa la maggiore o minore coerenza dell’azione rispetto al fine universale, che trascende l’individuo. (2)
La politica, dunque, sembra incarnare l’esempio tipico dell’atteggiamento utilitario nel suo complesso perché sembra compendiare la natura stessa della categoria che il filosofo italiano ha innalzato allo stesso livello delle altre. La politica è il regno delle passioni e della capacità organizzativa, possiede ciò che anima l’economia intesa in senso tradizionale, lo spirito utilitario in senso lato.
Così concepita, la politica come la categoria dell’utile, è autonoma: risponde alle sue specifiche leggi. La buona politica coincide con la capacità politica.
Un lettore disattento potrebbe cadere nell’equivoco secondo il quale Croce avrebbe giustificato, teorizzando l’autonomia della politica, ogni cattiva azione politica, avrebbe esaltato la forza, l’astuzia, il cinismo. Non è così, naturalmente, e l’intera vita del filosofo lo testimonia. Perché, come meglio vedremo, l’autonomia della politica si può concepire solo all’interno dell’unità della vita, come si è già accennato, nel rapporto con l’etica.
L’equivoco che alcune pagine, se non lette nell’orizzonte dell’intero pensiero crociano, potrebbero ingenerare, è lo stesso, per tanti aspetti, che generò un’interpretazione superficiale o interessata dell’opera di Niccolò Machiavelli. All’autore de Il Principe Croce si richiamerà costantemente. Fino agli ultimi anni della sua vita dialogò idealmente col grande fiorentino al quale aveva riconosciuto il merito di aver teorizzato di fatto l’autonomia della politica, di aver fondato la scienza politica moderna, di aver liberato il pensiero politico da falsi moralismi, ipocrisie, opportunismi.
Etica e politica
Si è soliti, dunque, inserire Croce fra i pensatori del cosiddetto realismo politico, fra i teorici della ragion di Stato. Certamente fra gli antecedenti del filosofo italiano, come da lui espressamente dichiarato, ci sono, oltre Machiavelli, Vico, Hegel, Marx, De Sanctis e filosofi e scrittori che si potrebbero considerare, entro certi limiti, realisti. Ma, come tutte le classificazioni di comodo, anch’esse appartenenti alla sfera dell’utile, non renderebbe giustizia al complesso pensiero crociano come, del resto, vale per i suoi autori.
Come detto, in sede teorica la politica, pur nella sua autonomia categoriale, vive in stretto, anzi indissolubile rapporto con l’etica, come il volere individuale e il volere universale, così come l’etica non vive in una astratta separatezza ma sempre in relazione con la vita tutta e, dunque, anche con la politica. La politica si piega all’etica ma le sue regole e leggi vanno rispettate perché senza di esse nemmeno l’etica si concretizzerebbe. Ecco quanto Croce scrive:
Ora lo spirito etico ha nella politica la premessa della sua attività e insieme il suo strumento, quasi un corpo che essa riempia di un’anima rinnovata e pieghi ai suoi fini. Non vita morale, se prima non sia posta la vita economica e politica; prima il vivere (dicevano gli antichi), e poi il ben vivere. Ma altresì non vita morale che non sia insieme vita economica e politica, come non anima senza corpo. E l’uomo morale non attua la sua moralità se non operando politicamente, accettando la logica della politica (…) La cerchia politica è qui oltrepassata: si vive la vita morale alla quale, come si è detto, la politica è mezzo e non fine. L’uomo morale è il vir bonus agendi peritus; la sua educazione morale richiede insieme l’educazione politica, e il culto e l’esercizio delle virtù più propriamente pratiche, come la prudenza e l’accorgimento e la pazienza e l’ardimento. (3)
D’altro canto basterebbe risalire al detto evangelico, “puri come le colombe prudenti come i serpenti”, per rendersi conto che etica e politica non sono necessariamente in contrapposizione ma che, anzi, l’una ha bisogno dell’altra e viceversa. Nel pensiero di Marx è evidentissima la compresenza del cosiddetto realismo politico con l’utopismo più profondo. Croce non casualmente coniò il termine etico-politico per indicare il senso proprio dello sviluppo della storia. Termine entrato ormai nel comune lessico della vita politica italiana e difficilmente sostituibile. Potremmo dire, parafrasando Kant, che la politica senza etica è cieca e l’etica senza politica è vuota.
Nel concreto agire si deve poter operare guidati dall’orizzonte utopico, che in realtà è l’orizzonte ideale, che è l’orizzonte etico ma sempre tenendo conto delle condizioni reali, ossia storiche, per evitare che l’ideale rimanga una pura speranza e la politica concreta sia priva di una guida morale forte e sicura.
La pagina crociana ci rimanda ai profeti disarmati di machiavelliana memoria.
Niccolò Machiavelli, con la sua vita e la sua opera, è il simbolo stesso della unificazione del politico con l’etico. Per troppi anni il suo pensiero fu poco compreso e ingiustamente avversato. La sua attualità è, per così dire, perenne.
Lo Stato, il governo, i partiti
In questa prospettiva va collocata anche la questione dello Stato, fra le più importanti e fraintese. Croce nega allo Stato valore etico per gli stessi motivi per cui ha collocato la politica nelle dimensione dell’utilità, dell’utilità, ribadiamo, come valore in sé e per sé positivo. Non è, dunque, la critica tipica del pensiero liberale allo Stato etico in favore dello Stato di diritto o la critica ultraliberale allo Stato burocratico in favore dello “Stato minimo”. Certamente il filosofo considerava lo Stato di diritto un momento essenziale dell’organizzazione politica della modernità, e sulla questione dello Stato minimo o pelle, il giudizio di Croce si conforma a quello sulla funzione del mercato in economia: non è da considerare un valore assoluto ma relativo alla condizione reale, storica. Più o meno Stato relativamente alle condizioni di fatto di una data società in un certo momento storico.
La critica di Croce è, per certi aspetti, ancor più radicale, soprattutto perché svolta essenzialmente in polemica con la statolatria, con l’enfatizzazione della presunta eticità dello Stato presupposto per costruire uno Stato totalitario. Scrive:
…non si può ammettere, in sede di pura teoria ossia di pura verità, una distinzione assai usuale nelle dottrine e nei dibattiti politici, – e che ha certamente importanza grande, ma affatto pratica; – quella tra S t a t o e g o v e r n o; perché, per chi cerchi la concretezza e non già le astrazioni, lo Stato non è altro che il governo, e si attua tutto nel governo, e fuori della non mai interrotta catena delle azioni del governo non rimane se non l’ipostasi dell’astratta esigenza di queste azioni stesse, la presunzione che le leggi abbiano un contenuto per sé e stabile, diverso dalle azioni che alla loro luce, o alla loro ombra, vengono compiute. (4)
Ciò non toglie che lo Stato non sempre o non soltanto debba essere considerato come pura espressione di forza o di potenza. Presenta, nel concreto suo operare, caratteri morali, possiede una dimensione etica. Croce ricorda come le dottrine dello Stato come forza, come istituto utilitario e quelle, opposte, dello Stato umanitario o, con diversa sfumatura, etico si sono alternate nella storia e ribadisce che vanno giudicate storicamente in relazione alle esigenze del momento storico in cui videro la luce.
Lo Stato, dunque, sopporta due diverse, anzi opposte, definizioni, ambedue vere? E’ mera politica, mera forza o potenza o utilità, amorale; ed è moralità e valore etico? Come mai? – Chiaro che queste due diverse definizioni, a volta a volta asserite, non riescono pensabili in relazione l’una all’altra se non da chi pensi dialetticamente, cioè non le mantenga nella loro parallelistica dualità, giustapposite o concorrenti, ma le risolva in un processo spirituale, per il quale lo Stato si pone, in un primo momento, come mera potenza e utilità, e si innalza da esso a moralità, non respingendo da sé quel primo suo carattere, ma negandolo, e cioè serbandolo nel superarlo. (5)
Rilevante, per la sua attualità, l’analisi che Croce compie della natura e della funzione dei partiti politici. Coerente con quanto sostenuto in merito alla funzione dello Stato e al concreto esercizio del governo, il filosofo concepisce i partiti come delle entità alle quali non si può né si deve conferire valore etico ma, nemmeno, come accade spesso nella storia, bisogna considerarli di per sé un disvalore. Il partito, afferma Croce, deve essere considerato un legittimo strumento attorno al quale si organizza una parte consistente della vita politica, della vita civile. E’ da augurarsi che il partito sia “un giudizio e non un pregiudizio”. Con questa affermazione combatteva l’idea del partito ideologico (il pregiudizio) in favore di una concezione dialettica e potremmo dire metodologica, dell’organizzazione politica di cui il partito è pars magna. Ciò non significa che i partiti non debbano possedere un retroterra ideale e culturale (che concretamente hanno ed hanno posseduto), che non debbano esprimere sensibilità particolari attorno alle quali si organizzano passioni, sentimenti e legittimi interessi. Ma anche i partiti nascono e vivono nella storia e devono confrontarsi con l’evolversi della realtà, con le diverse condizioni che la vita concreta prospetta.
Tale concezione della politica e dello Stato influenza, naturalmente, il liberalismo crociano che si presenta come una concezione della vita per la quale la libertà è il principio ispiratore sia per l’analisi storiografica sia per l’azione politica. Una concezione della vita che tiene insieme la dimensione ideale, se si vuole utopica, con quella realista nell’orizzonte di un pensiero dialettico. Questa versione del liberalismo, che Croce definì metapolitica e che si piò anche definire metodologica, comporta per sua stessa natura la possibilità di confrontarsi e, talvolta, incrociarsi con i grandi movimenti etico-politici che si affacciano sulla scena della storia.
Croce, come si è accennato, partecipò alla vita politica attiva in varie e importanti occasioni pur non considerandosi un politico in senso stretto. Ma avvertì sempre il dovere morale dell’impegno politico, impegno necessario come quello della ricerca della verità. Il suo impegno diretto, dopo gli anni dell’opposizione al fascismo, si esercitò soprattutto nell’opera di ricostruzione morale e politica dell’Italia dopo la tragedia della guerra mondiale. Partecipò al primo governo democratico dell’Italia libera, fece parte della Assemblea Costituente, contribuì alla ricostruzione del partito liberale Italia. Il suo impegno non venne mai meno, fino agli ultimi giorni della sua lunga vita, sempre in difesa del principio della libertà.
Note
1- B. Croce, Politica in Nuce in “La Critica”, 1924 ora in Elementi di politica, Laterza, Bari, 1925, p.11
2- B. Croce, Filosofia della Pratica, Laterza, Bari, 1963, p. 213
3- Ibidem, p.24
4- Ibidem, p.10
5- B. Croce, Etica e politica, Laterza, Bari, 1931, p. 215
Dal Lessico crociano (a cura di Rosalia Peluso) la voce “Estetica” di Ernesto Paolozzi