Maradona e Pelè: la Complessità in gioco. Il riscatto dell’originalità.

Diego Armando Maradona non è solo un eroe del calcio. E’ molto di più e molto di meno. Di più perché le sue gesta e la sua personalità travalicano il mondo dello sport, attraversano la cultura, la politica, la società. Di meno perché, in fondo, non è un eroe. Ciò è chiaro ai napoletani, probabilmente agli argentini. E’ difficile, credo, spiegarlo ad altri senza cadere nel folcloristico o nell’accademico. Dimensioni, peraltro, per tanti aspetti simili.

Fui invitato con Oscar Nicolaus ed altri studiosi napoletani ad un importante convegno internazionale all’università di Matera. Il tema generale riguardava il rapporto fra scienze e verità nell’ottica del pensiero complesso, della filosofia della complessità. Auspice Mauro Maldonado convennero a Matera studiosi di tutto il mondo. La sezione alla quale partecipai si intitolava: <La verità in gioco>. L’accattivante sottotitolo, per cui arrivarono giornalisti da tutta l’Italia, recitava:<Mardona è meglio di Pelè?>. Recitavamo la parte dei maradoniani io e Oscar e c’era il professore Giuseppe Gembillo che difendeva Pelé. Si voleva mostrare che la verità si può mettere in gioco anche attraverso il gioco per eccellenza, il calcio, il quale, in questo modo, si trasformava in qualcosa di serissimo.

Ma, naturalmente, presto ci si concentrò sul tema specifico: <Maradona è meglio di Pelé?>.  Ad un certo punto Pippo Gembillo, fra i maggiori studiosi di Croce e dell’epistemologia contemporanea, per scherzo, per sfottò nei nostri confronti ebbe a dire:< esaltate Maradona perché con lui avete vinto ma il Napoli non è abituato a vincere….>.Oscar Nicolaus si irrigidì e rispose: < forse tu non hai capito bene che noi a Napoli ai geni diamo del tu.  Gianbattista Vico, Benedetto Croce, Torquato Tasso, l’opera buffa, il teatro, il cinema> e, così via alla rinfusa fino ai nostri giorni.

Vidi nel volto dell’amico Gembillo, napoletano di adozione e per affinità culturali, una certa sorpresa. Pensava, mi resi conto, che riteneva la nostra discussione polemica rientrasse nell’ambito del normale motteggiarsi fra sportivi, fra tifosi. Bartali e Coppi, Mazzola e Rivera, Sivori e Corso per citare i classici. Non aveva compreso, non poteva comprendere che l’eroe Maradona nel contesto delle polemiche antinapoletaniste degli ultimi anni  travalicava di gran lunga l’ambito calcistico, il comune sfottò fra tifoserie.

Se si dovesse pensare che Diego Armando Maradona con le sue vittorie calcistiche rappresentò una sorta di riscatto per il popolo napoletano mi vergognerei di essere napoletano. E mi vergogno per quei napoletani che così pensano, oggettivi complici di chi così crede in altre regioni d’Italia, segno di profonda decadenza ed ignoranza.

Ma con la sua immaginazione calcistica, assolutamente eccezionale, congiunta ad uno stile di vita da poeta maledetto, Maradona rappresentò il riscatto dell’originalità sulla mediocrità generalmente vincente, della rivincita sul perbenismo imperante ora e sempre, si tratti del bigottismo di un tempo o dell’onestismo di oggi. La vittoria del politicamente scorretto, dell’anticonformismo, di una città, Napoli, assediata dai luoghi comuni, schernita se non disprezzata, per la sua anomalia, per i suoi eccessi talvolta plebei, per il suo anticonformismo mai perdonato dalla mediocrità borghese vincente. Ecco perché Gembillo non poteva comprendere l’eccesso polemico di Nicolaus. Il convegno fosse stato intitolato:< Ma Vico è meglio e Cartesio?> Gembillo avrebbe consentito con noi:< si Vico è meglio di Cartesio>. Senza nulla togliere alla grandezza di Cartesio, naturalmente.

Diego Armando infrangeva le regole astratte del calcio inventando una via maradoniana alla vittoria. La sua vita privata sembrava, pur con tutti i limiti, un’appendice della sua vita calcistica. Nel campo, per utilizzare un linguaggio caro a Gembillo come a Nicolaus, mostrava che la complessità del gioco inventivo può avere la meglio sul riduzionismo del tatticismo, del tecnicismo, dell’ossessionante preparazione atletica. Fuori dal campo mostrava che è possibile vincere anche se si viene dal sud del sud del mondo, anche se si è generosamente dalla parte di una società sportiva non in grado di competere per ragioni economiche e organizzative con le grandi corazzate europee espressione del più avanzato e rampante capitalismo.

Una prima donna, certo, ma sempre leale con gli avversari, rispettoso del pubblico, generoso con i compagni. Nel rettangolo verde la fantasia non trascendeva mai in bizzarria, l’individualismo non si tramutava mai in egoismo. La genialità era al servizio della squadra, della vittoria finale. Consapevole della sua genialità non appariva mai Narciso.

Confuso, certo, quando parlava di politica, non esaltante nei rapporti con l’altro sesso, schiacciato dal suo ambiente, vittima di quel mostro quasi imbattibile che è la droga. Ma chi ricorderà tutto questo quando si trasmetterà ancora il gol più famoso del mondo, quello contro l’Inghilterra ai mondiali del 1986 in Messico.

Un eroe, dunque, non soltanto un grande calciatore forse migliore di Pelé. Ed un eroe perché, in Argentina come a Napoli, seppe coagulare passioni positive in un mondo scettico o rancoroso. E, man mano che il tempo passa e le polemiche fra tifoserie si stemperano, Maradona diventa patrimonio comune di tutti quelli che amano il calcio e di tutti quelli che sanno accettare il genio senza invidie o rancori.

Chi andasse a rivedere l’arrivo di Maradona al San Paolo di Napoli, settantamila tifosi raccolti sugli spalti solo per vederlo in jeans e maglietta palleggiare pochi secondi, comprenderebbe ciò che forse voleva dire Pier Paolo Pasolini quando affermava che il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del Novecento. Non blasfemia volgare, naturalmente, né facile battuta, ma la consapevolezza che in quel luogo, la rappresentazione calcistica, ancora sopravvive la passione, autentica, spontanea. Tutto sommato senza doppi fini.

Maradona, dunque, in sé e per sé. Senza maradonismo. Senza nascondersi dietro le sue gesta per propagandare improbabili identità meridionali, fantasiose ricostruzioni e rivalutazioni di avvenimenti storici o di tic antropologici. Meno che mai per nascondere i mali profondi di una città che le polemiche antimeridionaliste esagerano insopportabilmente ma che esistono e vanno combattuti con assoluta intransigenza.

In conclusione voglio ricordare che a me personalmente Maradona è servito in varie occasione per spiegare a giovani e ad amici la differenza fra legalità e giustizia. Ricordate il famoso gol con la mano segnato sempre all’Inghilterra in quella fenomenale semifinale dei mondiali? Era irregolare, ovviamente. Quando chiesero a Diego Maradona spiegazioni, el pibe mostrando grande arguzia, ammise la colpa sportiva ma la giustificò con la celebre:< è stata la mano de Dios>. Ed effettivamente fu così. Fu la giustizia divina. Se avesse trionfato la legalità sportiva si sarebbe compiuta, forse, una delle più grandi ingiustizie sportive di tutti i tempi. La probabile eliminazione di un genio del calcio, come Di Stefano, come Pelè, da una finale mondiale in favore di una squadra composta da mediocri calciatori, bravi calciatori, di cui nessuno ricorda più il nome. < Fu illegale ?> chiedo ai giovani,<fu giusto?>. <Fu giusto>, rispondono.

(Relazione convegno “Il Mito azzurro il Napoli di Maradona” presso Facoltà di Sociologia Federico II – 4/03/2016)

Napoli e il Napoli. Alla Federici II si parte dal maradonismo, il Napolista, 5 marzo 2016